Tirso de Molina
Indicepseudonimo dell'autore teatrale e narratore spagnolo Gabriel Téllez (Madrid ca. 1584-Almazán, Soria, 1648). La sua biografia è piena di punti oscuri e poco chiara è anche la storia dei suoi rapporti con l'ordine religioso della Mercede, in cui esercitò cariche elevate. Qui però ebbe inizio anche la sua fama di poeta e drammaturgo che non dovette procurargli molte simpatie; e lo dimostrano i trasferimenti in America (Santo Domingo, 1615-18, dove insegnò teologia) e più tardi in Catalogna (1632-39), l'allontanamento da Madrid e il divieto di scrivere commedie, il confinamento a Cuenca nel 1640, e infine l'esilio nella lontana Soria. Tutto sommato, Tirso de Molina non dovette essere un frate comodo né conformista, come confermano le commedie, pubblicate in cinque parti fra il 1627 (Siviglia) e il 1636 (Madrid). Secondo la tradizione, ne compose tuttavia più di 400 (di cui un'ottantina pervenuteci), oltre a due opere miscellanee (Los cigarrales de Toledo, 1624; Deleitar aprovechando, 1635) e una voluminosa Historia General de la Orden de la Merced, unico suo testo religioso. Inoltre la scelta degli argomenti, sia per i testi drammatici sia per quelli narrativi, rivela in Tirso de Molina una spregiudicatezza poco comune. A parte l'unico dramma “teologico”, El condenado por desconfiado (Il condannato per mancanza di fede), le commedie di Tirso de Molina appaiono generalmente prive di un fondo morale mentre rivelano una profonda conoscenza degli ambienti mondani, uno spiccato gusto per le situazioni scabrose, un'aperta simpatia per tipi di donne disinvolte e che talvolta si beffano della bigotteria, come in Marta la piadosa, o per uomini dello stesso stampo come El burlador de Sevilla, prototipo immortale di tanti futuri Don Giovanni. Quanto alle narrazioni in prosa, la più valida – e la più tirsiana – è Los tres maridos burlados (contenuta nei Los cigarrales de Toledo), sapida storia di beffe boccaccesche. Nelle sue opere più tipiche Tirso de Molina si dimostra non solo un eccellente discepolo di Lope de Vega, quanto alla tecnica teatrale – e in particolare nelle commedie di cappa e spada e di costumi, quali El vergonzoso en palacio, Don Gil de las calzas verdes (Don Gil dalle brache verdi), Marta la piadosa, La villana de Vallecas, Por el sótano y el torno, Amar por señas, El melancólico, La gallega Mari Hernández ecc., veri capolavori nel loro genere – ma anche un geniale interprete e continuatore dello spirito di Lope: quell'esuberanza vitale, quella scintillante malizia, quel sottile gusto della dissimulazione femminile e della burla ben fatta, quella noncuranza del verosimile che contribuiscono a fare un teatro completamente “teatrale”, cioè autonomo, scevro da preoccupazioni di idee o di finalità estranee alla fugace illusione scenica. Persino quando Tirso de Molina compone drammi storici (La prudencia en la mujer) o religiosi (come la trilogia Santa Juana), la sua libertà morale e artistica è patente; e altrettanto si può dire del poco noto ma ammirevole Tanto es lo demás como lo de menos, che fonde insieme due parabole evangeliche in una perfetta sintesi. La fama della sua creatura più famosa e di più duratura storia teatrale e letteraria, Don Giovanni o il beffatore di Siviglia, non giovò in definitiva a Tirso de Molina, poiché fece restare in ombra altre e più che notevoli sue opere teatrali e quasi tutte le sue narrazioni.
Bibliografia
A. López, El cancionero popular en el teatro de Tirso de Molina, Madrid, 1958; M. Penna, Don Giovanni e il mito di Tirso, Torino, 1958; A. Nougué, L'oeuvre en prose de Tirso de Molina, Tolosa, 1962; K. Vossler, Lecciones sobre Tirso de Molina, Madrid, 1965; S. Maurel, L'univers dramatique de Tirso de Molina, Poitiers, 1971; L. Dolfi (a cura di), Tirso de Molina: immagine e rappresentazione, Napoli, 1991.