Teràmene
(greco Thēraménēs; latino Theramĕnes). Uomo politico e generale ateniese (sec. V a. C.). Figlio di Agnone, entrò nella vita politica dopo il fallimento della spedizione in Sicilia (413) tra gli oppositori del regime democratico; prese parte al colpo di stato oligarchico del 411 e fu uno dei Quattrocento ma, divenuto capo dei moderati, sostenne la necessità di attribuire i diritti politici a 5000 cittadini in grado di armarsi a proprie spese e di non concludere la pace col nemico se non a condizioni onorevoli, di contro ai fautori di un'oligarchia ristretta e di un accordo con Sparta a qualsiasi prezzo. Contribuì in modo determinante al crollo del regime dei Quattrocento sostituiti dalla costituzione dei Cinquemila alla cui stesura partecipò forse lo stesso Teramene. Nel 410 si recò con una flotta nell'Ellesponto dove, con Alcibiade, Trasibulo e Trasillo, riportò parecchie vittorie. Non si sa dove fosse Teramene negli anni seguenti, ma nel 406 lo ritroviamo come trierarco alle Arginuse; nel processo che ne seguì, intentato contro gli strateghi accusati di non aver raccolto i naufraghi, ne provocò la condanna. Dopo la disfatta di Egospotami (405), mentre Atene era già assediata, Teramene riuscì a convincere gli Ateniesi a mandarlo come ambasciatore presso Lisandro, dove si fermò per più di tre mesi, finché Atene dovette accettare qualsiasi condizione di pace. Tra le condizioni dettate dagli Spartani a Teramene c'era il ritorno alla costituzione avita (patrios politeia) patrocinato da Teramene, che partecipò al governo dei Trenta. Di fronte però al regime di terrore instaurato da costoro, Teramene cercò di prendere le distanze, ma, venuto a conflitto con Crizia, fu dapprima esonerato e poi, con procedura illegale, condannato a morte.