Soleimani, Qasem
Generale iraniano (Qanat-e Malek, 1957 - Baghdad, 2020). Nasce in una famiglia contadina in un piccolo villaggio montuoso non lontano da Rabor, nella provincia di Kerman. Nel 1970 per saldare i debiti del padre si trasferisce a lavorare nel capoluogo Kerman, assieme al fratello Ahmad. Probabilmente già vicino agli ambienti sciiti, Soleimani nel 1979, immediatamente dopo la Rivoluzione islamica, entra nelle Guardie della Rivoluzione e, concluso il periodo di addestramento, presta servizio a Mahabad, nella provincia dell’Azerbaigian occidentale, partecipando alla repressione della minoranza curda e collaborando con Ahmad Motevasselian, in seguito responsabile dei pasdaran in Libano. Tra il 1980 e il 1988 prende parte alla Guerra con l’Iraq scalando le gerarchie dell’esercito iraniano e guadagnandosi la fama di abile comandante. Nel 1988 viene nominato comandante della XIV Divisione Thār Allāh dei pasdaran che, alla fine del conflitto, è riassegnata alla provincia di Kerman. Da qui intraprende missioni nel Sistan e nel Baluchistan, a maggioranza sunnita, considerati dal governo di Teheran una potenziale minaccia, agendo nel contempo contro il narcotraffico. Tra il 1997 e il 1998 è nominato a capo della Forza Quds. Nel 1999 è tra i militari firmatari della lettera al presidente Khatami con cui si richiede un intervento contro le rivolte degli studenti di Teheran. Soleimani nel 2006 favorisce la nuova penetrazione dell’Iran in Afganistan finanziando l’Alleanza del Nord in Tagikistan. Quello stesso anno è in Libano a sostegno degli Hezbollah contro Israele. Nel 2007 è inserito nella lista delle persone colpite dalla Risoluzione del Consiglio delle Nazione Unite 1747 per il sostegno al programma nucleare iraniano. Nel 2011 è promosso maggior generale ed è protagonista dell’intervento dell’Iran in Siria a sostegno di Bashar al-Assad e, dal 2014, per contrastare l’avanzata dell’Isis. Responsabile dell’attacco sciita alla base aerea K-1 di Kirkuk e all’ambasciata USA di Baghdad nel 2019, il 3 gennaio 2020 Soleimani è rimasto ucciso nell’attacco di rappresaglia condotto tramite droni voluto dal presidente americano Donald Trump. A seguito della sua morte, la Guida Suprema Khamenei ha proclamato tre giorni di lutto nazionale e ai suoi funerali hanno partecipato milioni di persone. È sepolto a Kernan. Il successivo 8 gennaio 2020 l’esercito iraniano ha eseguito l'operazione "Comandante martire Soleimani", un attacco missilistico contro due basi USA situate in Iraq con lo scopo di vendicarne la morte.