Romana, Questióne-
Indiceproblema sorto all'indomani delle prime occupazioni francesi dello Stato Pontificio (fine del sec. XVIII) e sviluppatosi attraverso una serie di alterne soppressioni e restaurazioni del potere temporale dei papi. La questione romana entrò nella sua fase più critica quando, con la caduta delle illusioni neoguelfe, apparve manifesta l'incompatibilità della sopravvivenza dello Stato della Chiesa con l'ideale di unità nazionale. Dopo la gloriosa ma effimera vicenda della Repubblica Romana del 1849, un primo importante passo verso la soluzione unilaterale del problema fu perciò rappresentato dall'annessione al Piemonte delle Legazioni, delle Marche e dell'Umbria (1860) a cui tenne dietro la solenne proclamazione di Roma capitale del nuovo regno unitario (1861). L'effettiva annessione della città venne però impedita, più che altro per ragioni di prestigio e di politica interna, dalla volontà di Napoleone III che manteneva un presidio militare a Roma e a Civitavecchia sin dal 1849. Furono perciò tentate la via delle trattative dirette con il papa e quella del colpo di mano militare caldeggiata dal Partito d'azione garibaldino (Aspromonte, 1862). Fallite però ambedue, l'una per l'intransigenza della corte pontificia e l'altra per l'intervento dello stesso governo italiano timoroso di complicazioni con la Francia, nel 1864 si giunse alla Convenzione di settembre con cui l'Italia si impegnò a trasferire la capitale da Torino a Firenze e a impedire qualsiasi attacco contro lo Stato della Chiesa (ormai ridotto a Roma e al Lazio) in cambio dell'abbandono di Roma da parte delle truppe francesi. Il nuovo tentativo di Garibaldi di impadronirsi con la forza della città provocò però il ritorno delle truppe di Napoleone e la sconfitta di Mentana (1867) che parve allontanare di molto la realizzazione degli ideali unitari. Dopo soli tre anni, invece, caduto l'Impero napoleonico e allontanatesi le truppe francesi, l'Italia poté facilmente conquistare Roma (20 settembre 1870) ponendo così fine al governo temporale. La legge delle Guarentigie, con cui il governo italiano cercò allora di regolare i rapporti con il papa, non fu però accettata da Pio IX che, proclamatosi vittima della violenza e rinchiusosi in Vaticano, assunse un atteggiamento di netta ostilità nei confronti dei nuovi governanti e proibì ai cattolici italiani la partecipazione alla vita politica nazionale (non expedit, 1874). Ciò non impedì, tuttavia, che lo Stato italiano osservasse col più scrupoloso rispetto la legge anche nei pericolosi frangenti della I guerra mondiale e che essa in complesso servisse, se non a risolvere la spinosa questione, almeno a impedire estremi contrasti tra il potere civile e religioso per circa un cinquantennio. La graduale partecipazione dei cattolici alla vita politica della nazione permessa da Pio X, le diverse condizioni spirituali formatesi durante e dopo la guerra del 1914-18, l'abolizione del non expedit (1919) e l'apporto, infine, delle correnti ecclesiastiche e laiche favorevoli a un'intesa (sia pure per ragioni diverse) portarono dapprima ai tentativi di accordo tra monsignor B. Cerretti e V. E. Orlando del giugno 1919 e poi agli accordi del Laterano dell'11 febbraio 1929. Con essi, successivamente inseriti nella Costituzione della Repubblica Italiana, la Santa Sede riconosceva Roma capitale d'Italia e il Regno d'Italia acconsentiva alla creazione di un piccolo Stato territoriale (lo Stato della Città del Vaticano) considerato dalla Chiesa base necessaria per la propria indipendenza spirituale.
Bibliografia
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