Murad Basee, Nadia
Irachena di religione yazida, attivista per i diritti umani (Kocho, 1993). Nata nel distretto del Sinjar a Kocho, in una famiglia di agricoltori di religione yazida, Nadia è una studentessa di 19 anni quando il suo villaggio viene assaltato dalle milizie dello Stato Islamico, che uccidono seicento persone (compresi sei suoi fratelli). In seguito, assieme a numerose altre giovani donne e ragazze del villaggio, viene rapita e ridotta in schiavitù (2014). Portata nella città di Mosul, viene ripetutamente picchiata, bruciata con mozziconi di sigaretta e stuprata. Dopo diversi mesi di reclusione e torture, riesce a fuggire dai sequestratori grazie all’aiuto di una famiglia di Mosul che la nasconde e la aiuta a uscire dal territorio controllato dallo Stato Islamico, permettendole di raggiungere il campo profughi di Duhok (nord dell’Iraq) tra il settembre e il novembre 2014. Nel febbraio 2015, mentre si trova nel campo profughi di Rwanga, descrive gli orrori della prigionia ai reporter del quotidiano belga La Libre Belgique. Lo stesso anno, assieme a 1000 donne e bambini, beneficia di un programma per i rifugiati promosso dal governo del Baden-Württemberg e si trasferisce in Germania. Il 16 dicembre 2016 al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite rende la sua testimonianza sul traffico di esseri umani e sul conflitto in Iraq, operando in seguito attivamente come ambasciatrice delle Nazioni Unite per far luce sulle condizioni di vita di rifugiati e vittime di conflitti e genocidi. Nel settembre 2016 Murad annuncia il progetto Nadia’s iniziative, un'organizzazione no-profit nata nel 2018 a sostegno delle vittime di violenza sessuale. Nel 2017 incontra papa Francesco per chiedere aiuto per la causa della minoranza yazida e pubblica il libro di memorie The Last Girl: my story of captivity and my fight against the Islamic State. Nel 2018 è insignita, assieme a Denis Mukwege, del premio Nobel per la Pace "per i loro sforzi per porre fine all’uso della violenza sessuale come arma in guerra e nei conflitti armati". Dalla sua vita la regista Alexandria Bombach ha tratto il documentario On My Shoulders. Nel 2019, assieme a una delegazione di sopravvissuti, ha portato la sua testimonianza sulle persecuzioni etniche e religiose al presidente degli Stati Uniti Donald Trump.