Jaar, Alfredo

Artista, architetto, fotografo e filmmaker cileno (Santiago del Cile, 1956). Dall'età di 5 anni fino ai 16, vive a Fort-de-France in Martinica, in seguito si trasferisce in Cile. Dal 1982, dopo aver conseguito la laurea in architettura, si stabilisce a  New York per sfuggire al regime di Pinochet. È conosciuto principalmente per le sue installazioni artistiche che affrontano temi sociopolitici e legati ai conflitti. Tra le opere più note c'è il Rwanda Project sul genocidio ruandese del 1994. Nelle sue opere è centrale il tema del divario tra la realtà e le sue rappresentazioni; compito dell’artista è cercare di colmarlo con un processo di identificazione fondamentale per creare empatia, solidarietà e coinvolgimento intellettuale. Diventa Guggenheim Fellow nel 1985 e MacArthur Fellow nel 2000. Riceve l'Hiroshima Art Prize nel 2018. Nel 2020 si aggiudica l’Hasselblad Award. Partecipa alle Biennali di Venezia (1986, 2007, 2009, 2013), San Paolo (1987, 1989, 2010, 2020) e Documenta in Kassel (1987, 2002). Importanti sue mostre personali si tengono in prestigiose sedi: The New Museum of Contemporary Art, New York (1992); Whitechapel, Londra (1992); Moderna Museet, Stoccolma (1994); The Museum of Contemporary Art, Chicago (1995) e The Museum of Contemporary Art, Roma (2005). Importanti ricognizioni sul suo lavoro hanno luogo al Musée des Beaux Arts, Losanna (2007); Hangar Bicocca, Milano (2008); Alte Nationalgalerie, Berlinische Galerie e Neue Gesellschaft fur bildende Kunst e.V., Berlino (2012); Rencontres d'Arles (2013); KIASMA, Helsinki (2014) e Yorkshire Sculpture Park, Regno Unito (2017). È padre del musicista e del compositore Nicolas Jaar.

Bibliografia

A. Jaar, Et There Be Light: The Rwanda Project 1994-1998, Barcellona 1998; A. Jaar, M.J. Jacob, and Nancy Princenthal, Alfredo Jaar: The Fire This Time: Public Interventions 1979-2005, Milano 2005; S. Jonsson, 1989: Alfredo Jaar, They Loved It So Much, the Revolution, in A brief history of the masses: three revolutions, New York 2008