Harlem
quartiere residenziale di New York tra la 110a e la 158a Strada, divenuto dopo il 1910 quartiere afroamericano. Gonfiato dall'afflusso di braccianti giunti dal Sud e dai Caribi in cerca di lavoro, si animò ben presto di un'intensa vita notturna. Già dal 1915 le sue feste private ospitavano sfide tra pianisti virtuosi (Eubie Blake, Luckey Roberts, J. P. Johnson), nelle quali il ragtime scritto si trasformò in jazz improvvisato (stride piano). Nel 1921 vi nacque la rivista musicale afroamericana: il clamoroso successo dello scintillante Shuffle Along (Blake) anche presso il pubblico bianco fece esplodere una moda. I letterati bianchi (Carl van Vechten, Nigger Heaven; Eugene O'Neill, Emperor Jones) “scoprirono” Harlem, ai loro occhi luogo esotico e selvaggio, moderna giungla urbana; nacquero locali (Cotton Club) dove gli artisti neri si esibivano per bianchi danarosi. Fucina di cultura pari a Parigi o Berlino, Harlem vide una fioritura di pianisti (Fats Waller, Willie the Lion Smith) e orchestre jazz (Duke Ellington, C. Calloway), di ballerini (Bojangles, Josephine Baker) e balli (charleston) che conquistarono il mondo, di compositori sinfonici (J. P. Johnson, William Grant Still) e scrittori tra cui Langston Hughes, J. Weldon Johnson e Countee Cullen, firmatari (1925) del Manifesto pubblicato dal pensatore Alain Locke, il teorico del “New Negro”, che per primo definì l'epoca H. Black Renaissance. Tutto ciò a dispetto della perdurante, crudele segregazione: F. García Lorca definì Harlem “gran re prigioniero in livrea da inserviente”. Dopo la Crisi del 1929 tale vita artistica rallentò, ma riprese vigore grazie al Federal Arts Project, sfociando infine nella stagione del bebop. Ma la graduale introduzione della droga, la persistente ostilità del potere bianco e l'involuzione culturale del maccartismo distrussero il tessuto sociale e la vita culturale di Harlem, che dagli anni Sessanta vide un progressivo declino.