Calila e Dimna

(Kalīlah wa Dimnah). Raccolta di apologhi di origine indiana, tradotta e rielaborata in arabo da una versione pahlavidel sec. VI, da Ibn al-Muqaffaʽ (sec. VIII). Il testo, che si arricchì di aggiunte, trovò via via grande fortuna nell'Oriente persiano, turco, malese e nell'Occidente cristiano. Il titolo corrisponde al nome dei due sciacalli, Karataka e Damanaka (arabizzati in Kalīlah e Dimnah), protagonisti del primo racconto dell'opera originaria indiana (il Tantrakhyâyka, Libro dei racconti, scritto in sanscrito tra il sec. IV e il VI), i quali seminano, con la frode, l'inimicizia tra il leone (il re) e il toro (suo ministro). Nell'originale, a questo capitolo che s'intitola “la rottura dell'amicizia”, seguono altri quattro sui temi dell'“acquisto degli amici”, della “guerra e la pace”, della “perdita dell'acquisto”, della “considerazione prima di agire”. Una redazione ulteriore sanscrita del Tantrakhyâyka è il famoso Pañcatantra (I Cinque Libri). La traduzione araba di Ibn al-Muqaffaʽ, che accentua l'esigenza moralistica dell'opera, fu fonte di versioni siriache, bizantine, latine (Directorium humanae vitae di Giovanni da Capua, sec. XIII), slave, mongoliche, neopersiane ed ebraiche; ne derivano anche la Moral filosofia di A. F. Doni e La prima veste dei discorsi degli animali (1541) di A. Firenzuola. Il Calila e Dimna, tradotto in castigliano (1251) per iniziativa di Alfonso X il Dotto, ispirò Lope de Rueda, Quevedo e Calderón de la Barca.

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