Augustinus

opera di C. Giansenio, che dibatte il tema del peccato originale, allora (1630-40) oggetto di accese polemiche, originate dall'insegnamento di Baio. È un trattato redatto secondo gli schemi tradizionali, con assoluta fedeltà alla lettera del pensiero agostiniano. Giansenio condanna in esso la ragion filosofica e la filosofia scolastica, appellandosi alla tradizione, che verrebbe assimilata dalla conoscenza nella carità e nella fede. Su questo presupposto egli si inoltra nel mistero divino della grazia, che l'intelligenza percepisce per fidem. L'uomo infatti, a seguito della colpa originale, è quasi completamente impotente davanti ai richiami della realtà materiale e della grazia e diventa un semplice oggetto della loro forza attrattiva. Ne deriva l'assoluta gratuità della grazia, venendo meno il rapporto Dio-uomo fondato sulla salvezza e garantito dalla redenzione. In tal modo la trattazione di Giansenio è tutta e solo una teologia della grazia con la conseguente suddivisione degli uomini in dannati ed eletti. A questa logica obbediscono la polemica antipelagiana del primo tomo; il contrasto tra natura lapsa (decaduta) e natura pura del secondo; la reviviscenza della dottrina agostiniana sulla libertà e sulla grazia. Pubblicato postumo nel 1640 a Ostenda, l'Augustinus fu subito denunciato da gesuiti e francescani e condannato da Innocenzo X nel 1653 e da Alessandro VII nel 1656.

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