Parini e la cultura lombarda
Un'aspirazione maggiore all'intervento attivo sulla realtà politica e sociale portò gli illuministi lombardi a impegnarsi nell'amministrazione pubblica, appoggiando attivamente il riformismo illuminato degli Asburgo, che segnò però il passo soprattutto a partire dagli anni '70. Sempre negli anni '70 dominano i modelli neoclassici: massimo interprete ne è Giuseppe Parini, che media ragione e grazia, bellezza e dignità morale.
I fratelli Verri
Il milanese Pietro Verri (1728-1797) fondò con il fratello Alessandro l'Accademia dei Pugni (1761), la fucina dell'illuminismo lombardo, da cui nel 1764 uscì la rivista "Il Caffè", intorno alla quale maturarono le riflessioni migliori del riformismo illuminista in Italia. Esaurita l'esperienza della rivista (1766), Verri entrò nell'amministrazione pubblica austriaca, anche se ne fu allontanato (1786) per un insanabile contrasto con Giuseppe II. La sua vastissima produzione è tutta improntata alla concezione illuministica della cultura e del sapere, secondo cui l'attività intellettuale ha senso solo se guarda all'"utile" contro i "pregiudizi", nella misura in cui sa promuovere un rinnovamento morale, civile ed economico della società. "Cose e non parole" è un motto del "Caffè": in questo senso l'illuminismo lombardo si sgancia completamente da ogni residuo classicistico per tentare una cultura impegnata nelle battaglie civili.
Notevole la produzione di Pietro Verri. Particolare rilievo assumono le tematiche economiche: Elementi del commercio (1760); Dialogo sul disordine delle monete nello stato di Milano (1804, postumo). Il trattato Meditazioni sull'economia politica (1771) rappresenta la sua opera più importante. L'attenzione ai problemi sociali lo indusse a un riesame del processo degli untori durante la peste del 1630 a Milano: ne derivò il famoso scritto Le osservazioni sulla tortura (1777, pubblicato postumo nel 1804). Nel 1777 iniziò la stesura di una Storia di Milano (1783-98), insigne esempio di storiografia illuministica. In altri scritti si impegnò su temi più filosofici, come le Meditazioni sulla felicità (1763) e il Discorso sull'indole del piacere e del dolore (1773). Interessante l'opera composta in occasione della nascita della figlia Teresa, Ricordi a mia figlia (1777), una delle prime opere letterarie destinate a una bambina, in cui viene delineato un modello educativo in grado di far crescere più con le cure e l'affetto che con la severità.
Alessandro Verri (1741-1816) partecipò nel 1761, con il fratello Pietro, all'Accademia dei Pugni e al "Caffè". Lo scritto la Rinunzia avanti notaio degli autori del presente foglio periodico al vocabolario della Crusca (1764-65) è una netta opposizione al classicismo e al purismo linguistico ed ebbe larga risonanza. Tra il 1761 e il 1766 lavorò al Saggio sulla storia d'Italia, che però rimase inedito. Fu poi con l'amico Beccaria a Parigi e a Londra: durante il soggiorno all'estero tenne un fitto carteggio con il fratello Pietro, che rappresenta un prezioso documento sulla vita culturale del secondo Settecento italiano. Rientrato in Italia, si trasferì definitivamente a Roma: qui maturò la sua adesione al neoclassicismo e subì un profondo cambiamento ideologico-politico, avvicinandosi a posizioni papaline-reazionarie. Tradusse l'Amleto (1768) e l'Otello (1777) di Shakespeare; compose le tragedie Pantea e La congiura di Milano, che pubblicò nel 1779 nel volume Tentativi drammatici. Di maggior rilievo sono i suoi romanzi, Le avventure di Saffo (1782) e soprattutto le Notti romane (1792) e Vita di Erostrato (1815), che testimoniano un neoclassicismo velato di atmosfere preromantiche.
Cesare Beccaria (1738-1794), anche lui milanese, è uno dei grandi esponenti dell'illuminismo italiano. Amico di Parini e dei fratelli Verri, con i quali partecipò all'Accademia dei Pugni e al "Caffè", fu appassionato lettore dei principali pensatori francesi del tempo (Montesquieu, d'Alembert, Diderot e, soprattutto, Rousseau). Il suo trattato Dei delitti e delle pene (1764) è considerato l'espressione più originale dell'illuminismo italiano: sviluppa una violenta polemica contro un sistema giudiziario irrazionale; condanna la pena di morte e la tortura, considerati strumenti di uno Stato barbaro, e propone pene meno crudeli; soprattutto teorizza una forma di Stato razionale e laico in cui sia salvaguardata la dignità dell'uomo: "Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l'uomo cessi di essere persona, e diventi cosa". Di Beccaria rimangono anche altri trattati: Ricerche intorno alla natura dello stile (1770) ed Elementi di economia pubblica, pubblicati postumi, frutto delle sue lezioni alle Scuole Palatine di Milano.
Giuseppe Parini
ato a Bosisio (oggi Bosisio Parini), presso Lecco, Giuseppe Parini (1729-1799) è il modello di poeta classicista, che media ragione e grazia, bellezza e dignità morale. Fu assunto come precettore in casa dei duchi Serbelloni, dove poté dedicarsi alla poesia (di cui già aveva dato alcune prove pubblicando Alcune poesie di Ripano Eupilino, 1752, di ispirazione prettamente arcade) e agli studi letterari incoraggiati dall'illuministica Accademia dei Trasformati, a cui era stato ammesso nel 1753. In Accademia lesse alcuni testi satirici, tra cui il Dialogo sopra la nobiltà (1757); il Dialogo sopra le caricature (1759); Lettere del conte N. N. a una falsa divota (1761) e un'importante dichiarazione di poetica, il Discorso sopra la poesia (1761), in cui fondeva i principi dell'estetica sensistica con un sobrio gusto classicistico. Quasi contemporaneamente pubblicò le prime Odi di contenuto civile: La vita rustica (1757); La salubrità dell'aria (1759); La impostura (1761). Licenziato dai Serbelloni nel 1762 per aver preso le difese di una cameriera maltrattata, Parini fu assunto per due anni dal conte Giuseppe Maria Imbonati, esponente dell'aristocrazia illuminista, come precettore del figlio Carlo, per il quale scrisse l'ode L'educazione (1764). In questi anni Parini compose il suo capolavoro, le prime due parti del poemetto satirico Il giorno: il Mattino (1763) e il Mezzogiorno (1765). Il notevole successo dell'opera impose il poeta all'attenzione dei rappresentanti del governo riformatore di Maria Teresa d'Asburgo, soprattutto del conte Firmian, che prima gli affidò la direzione della "Gazzetta di Milano" (1769) e poi lo nominò professore di belle lettere al Regio Ginnasio di Brera (1773). Parini scrisse un'opera teatrale di modesta qualità (l'Ascanio in Alba, 1771), che fu musicata da Mozart; produsse testi didattici (Sui principi generali delle belle lettere applicati alle belle arti, 1773-75) e sulla riforma scolastica (Sul decadimento delle belle lettere e delle belle arti, 1773). Ma soprattutto si dedicò a un'intensissima produzione poetica, spesso d'occasione, in cui acquistarono particolare rilievo una nuova serie di Odi (1791), di contenuto sociale e morale, tra le quali vanno ricordate: L'innesto del vaiolo (1765); Il bisogno (1766); Le nozze (1777); La laurea (1777); La caduta (1785); La recita dei versi (1786); Il pericolo (1787); La magistratura (1788); Il dono (1790); La gratitudine (1791). Proseguì intanto, sia pure a rilento, la stesura delle due parti mancanti del Giorno, il Vespro e la Notte, che però rimasero ampiamente incompiute. Forse la poesia satirica era diventata estranea sia al gusto del poeta, attratto dal neoclassicismo (A Nice, 1793; Alla Musa, 1795), sia alla sensibilità dei tempi, dominati dalle vicende della rivoluzione francese, verso la quale il giudizio di Parini fu severo (A Silvia. Sul vestire alla ghigliottina, 1795). Morì nel 1799.
"Il giorno"
L'opera fu pubblicata integralmente solo nel 1801 a cura di Francesco Reina. La struttura del poemetto consiste nella descrizione particolareggiata della giornata di un "giovin signore", attraverso i consigli che l'autore, presentatosi come "precettor d'amabil rito", gli offre perché possa sempre fare onore al suo rango. Prima si assiste alla descrizione del risveglio del giovane eroe, nel tardo mattino, e dunque alle operazioni per prepararsi alla giornata: la colazione, la vestizione, l'incipriatura. Poi, nel contesto di un lussuoso banchetto che caratterizza il Mezzogiorno, il "giovin signore" incontra la dama di cui è cicisbeo. Durante il pranzo ("i desinari illustri") il poeta descrive alcuni tipi particolari, tra cui il mangione e il vegetariano, e prendendo spunto dalle parole di costui racconta la vicenda della "vergine cuccia", uno degli episodi più celebri del poemetto. Nel Vespro si prendono in considerazione i falsi rapporti di amicizia basati solo sulle convenzioni sociali, mentre nella Notte, tutta incentrata sul contrasto tra le tenebre degli esterni e lo sfavillare dei saloni signorili, vi è la constatazione dell'inarrestabile disfacimento della nobiltà. La grazia rococò è sgranata dalle radici: la morte e un terrore spettrale velano la vacuità dei nobili. Il costante ricorso da parte del poeta all'ironia vivifica questa materia e crea un poema didascalico dai contenuti paradossali, in cui il precettore, mentre mostra di dare al suo discepolo insegnamenti adeguati per perpetuare la sua vita superficiale, corrode la considerazione che la classe nobiliare ha di sé, mostrandone tutta la boria e l'insensatezza. La dilatazione dei tempi e dei gesti, che il poeta propone continuamente, contribuisce a rendere evidente l'insignificanza di tanti gesti rituali e di tante parole a suscitare un forte risentimento morale.
"Il Caffè" e gli illuministi lombardi | "Cose e non parole" è un motto del "Caffè"; l'illuminismo lombardo si sgancia completamente da ogni residuo arcadico per tentare una cultura impegnata nelle battaglie civili. Protagonisti: Alessandro e Pietro Verri (Le osservazioni sulla tortura del 1777); Cesare Beccaria (Dei delitti e delle pene del 1764). |
Giuseppe Parini | È il modello del poeta classicista, che media ragione e grazia, bellezza e dignità morale. La sua poetica si fonda sull'equilibrio tra la compostezza classica e un forte senso di responsabilità civile. Opere: Odi, raccolte in volume (1791); i lavori più vicini al nuovo gusto neoclassico (Il messaggio, 1793; A Nice, 1793; Alla Musa, 1795). Il capolavoro, il poemetto storico Il giorno: Mattino (1763) e Mezzogiorno (1765), mentre rimasero ampiamente incompiute le altre due parti, il Vespro e la Notte. |