Italo Svevo: vita e opere dello scrittore triestino
Tutto sull'autore di Senilità e La coscienza di Zeno: la figura dell'inetto, la psicanalisi e l'amicizia con Joyce.
Italo Svevo è uno dei maggiori romanzieri italiani contemporanei; egli ha fatto suo il presupposto essenziale del Novecento: la letteratura è un'analisi spietata, paradossale e ironica della coscienza moderna. Narrare non significa più rappresentare il mondo, quanto trascrivere l'assurda e inquietante casualità delle sue leggi, della sua possibile insignificanza. Al pari dei migliori scrittori di inizio Novecento, ha colto la crisi della cultura europea, l'ansia e l'inspiegabile tragicità della vita quotidiana.
La vita e le opere
Italo Svevo (pseudonimo di Aron Ettore Schmitz, 1861-1928) era figlio di un commerciante ebreo di origine tedesca. Compì gli studi tecnico-commerciali in Baviera e a Trieste. Nel 1880, dopo essere stato assunto alla Unionbank viennese, iniziò a coltivare gli interessi letterari e a partecipare attivamente alla vita intellettuale triestina. Cominciò a scrivere novelle (L'assassinio di via Belpoggio, 1890) e il romanzo Una vita, pubblicato a proprie spese con lo pseudonimo di I. Svevo nel 1892, senza ottenere alcun successo. Nel 1896 sposò Livia Veneziani, figlia di un ricco industriale. Negli anni successivi stese il secondo romanzo, Senilità (1898), parzialmente autobiografico. Lasciata la banca, nel 1899 entrò come dirigente nell'azienda del suocero. Per circa vent'anni abbandonò, almeno apparentemente, l'attività letteraria; in realtà continuò a scrivere novelle e commedie (da ricordare Il marito, 1903), tenne un diario, si dedicò allo studio del violino e fu attratto dalla psicoanalisi.
Tradusse in italiano, per interesse personale, l'opuscolo Il sogno di Freud. L'avvenimento più rilevante anteriore al primo conflitto mondiale fu l'amicizia con lo scrittore irlandese J. Joyce, residente a Trieste, che gli diede tra l'altro un giudizio competente sulle sue prime opere, spingendolo a dedicarsi di nuovo alla narrativa. A partire dal 1919 scrisse il suo romanzo più famoso, La coscienza di Zeno (1923). In Italia l'opera non suscitò attenzione, ma l'entusiastica approvazione di Joyce suscitò il positivo intervento dei prestigiosi critici francesi V. Larbaud, B. Crémieux e P.-H. Michel; nel 1925 il giovane E. Montale pubblicò una positiva recensione del romanzo: fu il successo anche in Italia. Svevo continuò a produrre soprattutto racconti lunghi, tra cui Vino generoso (1927); Una burla riuscita (1928); Corto viaggio sentimentale, iniziato nel 1925 e mai concluso; la Novella del buon vecchio e della bella fanciulla, per la quale Svevo scrisse due possibili finali. Compose anche alcune opere teatrali: Con la penna d'oro e La rigenerazione (pubblicate postume). Iniziò a scrivere un quarto romanzo di ampio respiro, Il vecchione, di cui stese alcuni lunghi frammenti e gli abbozzi di qualche capitolo. Nel marzo 1928 venne festeggiato a Parigi in un solenne incontro al Pen Club.
L'uomo inetto
Fin dal primo romanzo, Una vita, Svevo descrive un particolare individuo borghese, attratto dall'arte, bloccato da un condizionamento nevrotico che lo rende "inetto" e inadatto a vivere la concretezza del mondo del commercio e della realtà quotidiana. Nel secondo romanzo lo scrittore torna ancor più sul tema dell'inettitudine, che fin dal titolo, Senilità, è termine allusivo della condizione psicologica di chi è incapace "d'arrivare all'immediata rappresentazione di una cosa reale", così come fanno gli altri. Lo splendido ritratto psicologico del protagonista Emilio Brentani mette a fuoco le caratteristiche dell'uomo moderno, eroe negativo, "malato", continuamente in fuga dal presente, perduto dietro a desideri illusori e a modelli astratti.
La coscienza di Zeno
Svevo ebbe sempre una predilezione per Senilità, tanto ritenerla il suo lavoro migliore, ma è indiscutibile che il terzo romanzo, La coscienza di Zeno contiene tali e tanti elementi di novità da farlo considerare un'opera capitale del Novecento. La prima novità consiste nella materia: non si tratta né di un'autobiografia, né di ricordi consapevoli, ma del riemergere di contenuti inconsci riportati alla luce grazie a una cura psicoanalitica cui si sottopone il protagonista. La seconda grande novità consiste nella struttura narrativa dell'opera: le vicende non sono esposte secondo uno schema narrativo scandito da uno sviluppo logico o cronologico, ma riemergono e si riaggregano attorno a nuclei di interesse che costituiscono l'argomento e i titoli dei capitoli centrali del romanzo: "Il fumo", "La morte di mio padre", "La storia del mio matrimonio", "La moglie e l'amante", "Storia di un'associazione commerciale". I particolari narrativi assumono importanza a seconda del contesto in cui sono collocati, in quanto è l'interesse psicologico a determinare il recupero della memoria e l'organizzazione del racconto. Tale impostazione determina anche il caratteristico andamento della scrittura di Svevo, in cui tra presente e passato si sovrappongono le diverse sfumature della coscienza. I capitoli iniziali e quello finale sono dedicati al presente, rappresentato dalla cura psicoanalitica. In essi si svolge un sottile duello tra il protagonista e il medico: il medico cerca di mettere alle strette il paziente perché non si rifugi nelle sue menzogne; il paziente, a sua volta, mira a dimostrare l'incapacità della psicoanalisi a guarire l'individuo, perché la duplicità psicologica non è una malattia, ma il fondamento stesso della vita e "la vita attuale è inquinata alle radici". L'unica forma di guarigione sarebbe, paradossalmente, una catastrofe universale che cancellasse la vita umana dall'universo.
Il giudizio critico
L'opera di Svevo appartiene alla grande stagione narrativa europea che ha espresso talenti quali Joyce, Proust, Kafka, Thomas Mann e Musil. Li accomuna tutti la crisi della ragione nei confronti degli oscuri e incontrollabili recessi dell'animo umano. Sotto l'ironia e l'autoironia dei propri personaggi, Svevo nasconde la tragica incapacità, l'"inettitudine" di vivere il presente come una verità tangibile, lucidamente avvertita.
La vita | Svevo è lo pseudonimo di Aron Ettore Schmitz (1861-1928), triestino di origine ebraico-tedesca. Compie studi tecnico-commerciali e si impiega in banca passando poi a dirigere l'azienda del suocero. Svolge contemporaneamente la propria attività di scrittore, riscuotendo notevole successo soprattutto internazionale. |
Opere maggiori | Una vita (1892), storia di un uomo "inetto"; Senilità (1898), storia di un uomo che s'innamora drammaticamente di una donna molto più giovane; La coscienza di Zeno (1923), romanzo autobiografico di una nevrosi e della sua cura psicoanalitica. |
Giudizio critico | Svevo ha fatto suo il presupposto essenziale del Novecento: la letteratura è un'analisi spietata, paradossale e ironica della coscienza moderna. Narrare non significa più rappresentare il mondo, quanto trascrivere l'assurda e inquietante casualità delle sue leggi, come della sua possibile insignificanza. Al pari dei migliori scrittori di inizio '900, egli ha colto la crisi della cultura europea, l'ansia e l'inspiegabile tragicità della vita quotidiana. |