Piero Angela: «Mai usare la scienza per fare spettacolo. Contro le fake news cultura e serietà»
Intervista al grande giornalista e divulgatore scientifico: «Il nostro lavoro è fondamentale per accedere a un mondo altrimenti incomprensibile».
La divulgazione in tv in Italia ha un nome ed un cognome, da sempre: Piero Angela. Nato a Torino nel 1928, Angela è giornalista, divulgatore, saggista e conduttore televisivo di programmi scientifici sulla Rai.
È proprio grazie al suo lavoro che i documentari e il filone documentaristico sono arrivati al grande pubblico nel nostro Paese, attraverso il programma che l’ha reso celebre, Super Quark, la cui ventiseiesima edizione si è da poco conclusa su Raiuno.
Da qualche anno condivide l’onere e l’onore di fare servizio pubblico e divulgazione scientifica sulla Rai assieme al figlio Alberto Angela, che ne sta raccogliendo l’eredità e parallelamente sta conducendo programmi di informazione in cui porta gli italiani all’interno delle meraviglie e dei monumenti più belli del nostro Paese.
È tuttavia a Piero Angela che si deve l’arrivo della scienza in televisione in Italia: una carriera, quella di Angela, partita come cronista all’interno del telegiornale e virata poi, a partire dal 1969 (l’anno dello sbarco sulla Luna, ça va sans dire) al racconto della scienza sul servizio pubblico. Intere generazioni sono cresciute, dagli anni Settanta ad oggi, guardando i programmi di Piero Angela, che per la prima volta ha approfondito anche sul piccolo schermo temi che prima si trovavano solo sui libri scolastici.
Super Quark è in onda dal 1995. Si è appena concluso un nuovo ciclo di puntate. È soddisfatto?
«È in onda dal 1980: abbiamo fatto quaranta edizioni tra Quark e Superquark, vincendo quasi sempre la serata in tutti questi anni, salvo quando ci scontriamo con i grandi eventi speciali o le partite».
Sono tantissimi anni che lei fa divulgazione scientifica in tv, un grande onore e un grande onere allo stesso tempo...
«Riusciamo a farlo nella migliore collocazione che è la prima serata su Raiuno. A quanto mi risulta, nessuna televisione europea ha un programma di prima serata di scienza. Qualora ci fosse, è sul secondo canale o su reti minori».
La sua lunga attività di divulgatore scientifico iniziò nel 1969. Che ricordo ha dei suoi esordi?
«È stato un passaggio graduale. Ho iniziato occupandomi di servizi di tema scientifico, quando lavoravo per il telegiornale, poi, a un certo punto, nel 1969, ho deciso di fare solo programmi di scienza. E ho iniziato da solo, proprio in quell’anno, a fare documentari, cosa che ho fatto successivamente per oltre dieci anni.
Nel 1980 avvalendomi di molti collaboratori ho lanciato Quark, una rubrica fissa televisiva, dando così alla scienza una presenza più importante in tv. Da lì sono proseguiti molto cicli, fino ad arrivare a SuperQuark. Con questo marchio, Quark, ho fatto di tutto: Quark economia, Quark Europa, Quark Storia, Quark Natura e anche Quark Musica. È una formula che ha spaziato un po’ ovunque, anche se scienza e tecnologia sono state le due materie trattate in prevalenza».
Si dice che sia stato lei a dare il via al filone documentaristico in Italia con il suo lavoro. Che fase sta attraversando il documentario oggi, nel 2020?
«Ci sono Paesi, come la Gran Bretagna, che hanno scelto di puntare sui documentari e di venderli in tutto il mondo, così come noi produciamo e vendiamo sceneggiati all’estero. Hanno addirittura un centro di programmi naturalistici a Brighton. Investono somme enormi di denaro in serie che vendono a caro prezzo ovunque.
La BBC riesce a fare cose di grandissima qualità. Noi con loro abbiamo un rapporto speciale per avere i migliori documentari. Il discorso vale anche per il National Geographic che però’ adesso è diventato un’altra cosa: compra documentari più che produrli. Ci sono anche altri paesi che producono documentari scientifici, come Canada, Australia e Germania.
Noi con SuperQuark abbiamo fatto 48 programmi di storia, con i più grandi personaggi della storia, da Einstein a Napoleone fino a Raffaello e Michelangelo: sono serie che abbiamo prodotto utilizzando sceneggiati e film. C’era una parte di racconto in studio e una parte invece girata nei luoghi in cui questi personaggi hanno vissuto. Abbiamo usato l’Odissea di Omero o la Tenda Rossa, sceneggiati italiani ma non solo, che ci hanno permesso di fare tantissime prime serate».
Quali sono gli errori che chi fa divulgazione scientifica non dovrebbe mai commettere e dall’altro lato qual è il “peccato” che un appassionato di scienza non deve fare?
«Mai utilizzare la scienza per fare spettacolo. Noi utilizziamo lo spettacolo per fare scienza. Per esempio abbiamo mandato in onda 45 cartoni animati di Bruno Bozzetto o usato tecniche come gli sceneggiati per dare al programma vivacità ma la serietà sta nei contenuti».
Il progresso nei media è sempre stato un alleato della divulgazione scientifica, ma oggi siamo al paradosso che, se da un lato abbiamo infiniti strumenti di accesso alla cultura, dall’altro questi stessi mezzi vengono usati per diffondere teorie false e fake news. Come vede la situazione? Come ci si difende?
«Bisogna cercare di educare il pubblico a rendersi conto che le notizie troppo appetitose il più delle volte sono fasulle. In secondo luogo, saper identificare la fonte. Bisogna porsi il problema come fanno i giornalisti quando ricevono una notizia: chi l’ha detto? Se si ritrova la fonte, se l’ha detto un grande centro di ricerca, un personaggio affidabile, va bene. Se la fonte è un giornale fantasioso o un centro di ricerca che non si sa cosa sia, allora questo vuol dire che o quella cosa è fasulla, o che comunque va verificata molto più a fondo.
C’è, ad esempio, attualmente una riscossa molto grossa in campo medico contro le fake news: sia l’Ordine dei medici che l’Istituto superiore di sanità hanno dei portali che contrastano le fake news, invitando ad andare sui loro siti per vedere se è una notizia stata verificata o meno. Se uno vuole essere informato, si hanno tutti gli strumenti oggi; se ci si accoda semplicemente a movimenti d’opinione, come i no-mask o no-mascherine, allora ci si assume anche il rischio che questo comporta».
Visto che Piero Angela ha avvicinato alla scienza più generazioni di appassionati, qual è la persona che ha avvicinato Piero Angela alla scienza?
«La lettura di certi libri, i libri di divulgazione sono fondamentali perché permettono di accedere ad un mondo, quello della ricerca, altrimenti difficilmente comprensibile nei testi originali. Anche le riviste di scienza, come Nature o Scientific American: ci sono riviste di alto livello, soprattutto all’estero».
Uno dei suoi grandi hobby e passioni, oltre alla musica, sono gli scacchi. E’ stato anche ospite delle Olimpiadi degli scacchi nel 2006.
«Certo, cito spesso nei miei libri gli scacchi come buon esercizio mentale che i giovani dovrebbero fare. Essendo un personaggio conosciuto mi invitano spesso a varie manifestazioni. Una volta mi hanno addirittura coinvolto in una multipla, che sono delle partite con tanti giocatori, spesso celebri, che attraggono pubblico. Una volta ho partecipato come pessimo giocatore dilettante ad una multipla con Karpov, campione del mondo. Ho fatto una bella partita con lui! Gli scacchi sono comunque una passione molto meno forte della musica».
Suo figlio Alberto sta seguendo le sue orme ed è seguitissimo in tv.
«Alberto ha fatto il percorso contrario al mio: io sono partito come cronista e sono finito a fare il giornalista scientifico. Mio figlio è partito come paleontologo ed è finito a fare programmi di archeologia, arte, bellezze naturali. Abbiamo scritto anche dei libri insieme.
Alberto come narratore è più bravo di me. Da molti anni ognuno lavora per conto proprio, ormai ha un seguito superiore al mio! Ne sono felicissimo, anche perché lui, come gli ho insegnato, fa bene le cose, seriamente. I figli vanno allevati con principi sani e con un impegno educativo forte. Le cose poi nascono da sole. Certo bisogna avere anche il talento, ma quello o lo si ha o non lo si ha: non si impara».
Come vede la tv di oggi e soprattutto cosa guarda in tv, nel tempo libero?
«Posso dirle cosa non guardo! Non guardo il calcio (tranne le finale di Coppa del mondo, ma quelli sono eventi), non guardo gli sceneggiati, non guardo i varietà, non guardo i dibattiti. Rimane molto poco! Restano i polizieschi.
Mi piace, ma non sempre, il Tenente Colombo, un prodotto antichissimo ormai. È un giallo senza cose truci fatto di piccole osservazioni. Colombo ribalta le regole del giallo tradizionale: in genere il poliziotto indaga e piano piano svela i suoi sospetti fino ad arrivare alla ricerca del colpevole. In Colombo si sa subito chi è l’assassino, ma lo si segue per rintracciare i piccoli dettagli, per ricostruire».
Luca Dellisanti