Medicina allopatica e medicina omeopatica
È stato proprio Hahnemann, nel 1842, a introdurre il termine di "allopatia", per indicare la prassi di somministrare a un malato i farmaci che producono effetti contrari a quelli provocati dalla malattia; secondo il fondatore dell'omeopatia, essi aggiungono uno stato patologico artificiale a un corpo già malato.
Nel corso degli ultimi duecento anni, del resto, la medicina omeopatica è stata sempre considerata come una pratica eretica rispetto alla medicina ortodossa. Gli omeopati sostengono che le sostanze diluite agiscono stimolando le naturali difese dell'organismo, promuovendo uno spontaneo processo di guarigione; gli scettici ribattono che i rimedi omeopatici funzionano solo come placebo.
Va ricordato in ogni caso che, anche se un determinato trattamento - ortodosso o alternativo - fosse completamente privo di effetti specifici dimostrabili, non per questo dovrebbe essere considerato completamente inutile.
Il pregio maggiore dell'omeopatia, secondo una diffusa convinzione, è quello di non causare danni, dal momento che i medicamenti sono fortemente diluiti ("se non fa bene, non fa neanche male"). Ma secondo alcuni omeopati questa è una grave inesattezza: i loro rimedi, infatti, provocherebbero un aggravamento dei sintomi in circa il 25% dei casi.