L'assistenza domiciliare al malato terminale
La fine della vita, benché naturale e attesa esperienza dell'umano esistere, spesso ci coglie, razionali abitatori dell'Occidente, impreparati e timorosi.
Ormai da lungo tempo si studia, si parla, ci si interroga sulla morte, nostra o di chi ci è caro, e sul lutto che la accompagna. Da meno tempo, invece, è ritornata imperiosa l'esigenza di conferire a questo passaggio attenzione e tempo: di gesti, di cure, di lenimenti, di simboli e saluti.
Ed è in quest'ottica, nel corso di questo dibattito, che si è rivalutata come preziosa la possibilità, laddove esistano le condizioni, di lasciar morire le persone a casa propria, circondate da chi ha voluto loro bene.
La realtà sanitaria italiana attuale mostra, in zone territoriali ove non siano presenti Unità di Cure Palliative e Assistenza Domiciliare, una percentuale di pazienti oncologici deceduti in strutture sanitarie per malattie acute pari al 54%. A fronte di questi dati, nel territorio adeguatamente dotato di strutture sanitarie domiciliari, la percentuale di decessi a domicilio tra i pazienti seguiti dalle Unità di Cure Palliative si è ormai saldamente stabilizzata nell'ordine dell'85%.
Per giungere a questi significativi risultati, l'impegno nell'individuazione e nella gestione dei bisogni del malato terminale è stato, nel corso degli anni, continuo e non privo di difficoltà. Le Unità di Cure Palliative sono infatti nate in Italia, alla fine degli anni Settanta, con il decisivo apporto di associazioni benefiche in grado di coordinare e organizzare il settore del volontariato.
Nel 1978, il numero di pazienti neoplastici trattati con tecniche neuroinvasive per il controllo del dolore era pari a circa l'80%; negli anni immediatamente seguenti, l'introduzione di un piano di assistenza domiciliare per i malati terminali, unitamente a una revisione critica su tali metodiche invasive e a una graduale rivalutazione dell'uso degli oppiacei (in particolare della morfina), ha profondamente modificato il quadro di insieme.
Il progetto di offrire assistenza domiciliare alle persone malate di cancro in fase avanzata è nato da un'attenta analisi dei problemi legati alla malattia oncologica terminale e al suo impatto umano, oltre che medico. Partendo dalla certezza dell'inguaribilità e della prognosi negativa a breve termine, la ricerca della qualità dell'intervento ha assunto sempre maggiore importanza divenendo prioritaria rispetto al criterio quantitativo: si è compreso il limite implicito nel perseguire a qualunque costo, fisico, psichico e morale, la sopravvivenza del paziente. Prendersi cura della persona, prima ancora che del malato, e dei suoi sintomi; privilegiare la qualità della sua vita nei giorni della sofferenza, preparando lui e i suoi familiari a una quanto più possibile serena accettazione dell'ineluttabilità di quell'evento naturale che è la morte, sono diventati, nella professione dell'operatore sanitario al domicilio, un dovere e un obiettivo per ottimizzare il proprio lavoro.
Fino alla fine degli anni Settanta, il malato oncologico in stato avanzato veniva seguito unicamente in ambiente ospedaliero; più avanti, il ricorso alla reperibilità telefonica dei medici è stato certamente il primo passo verso il traguardo della globalità dell'intervento assistenziale.
Non bisogna dimenticare che il malato terminale soffre anche, e a volte principalmente, per i vissuti di stanchezza, ansia, paura, depressione e isolamento che accompagnano e spesso aumentano il dolore. La necessità di soddisfare adeguatamente, tramite il servizio di assistenza al domicilio, le sue esigenze legittime non ha comunque fatto dimenticare, negli anni seguenti, l'obbligo a un controllo altrettanto attento della qualità delle cure. Da un lato, pertanto, è stata approfondita e affinata la capacità dei vari componenti dell'équipe assistenziale (medico, infermiere, psicologo, assistente sociale e volontario) di agire in modo coordinato, sinergico e tempestivo e in molti centri sono state istituite riunioni settimanali per monitorare le singole situazioni e renderne partecipe l'intera struttura; dall'altro si è lavorato per chiarire ulteriormente i problemi ed evidenziare le loro possibili soluzioni.
In particolare, uno studio dell'Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano (1985) ha mostrato i benefici che lo stare a casa propria comporta: per il malato che lo desidera, essere circondato da persone e cose dotate di grande valore affettivo, può divenire così determinante da ridurre non solo i sentimenti di ansia e depressione, ma anche la sofferenza fisica. In altre parole, un paziente, curato in casa oppure in strutture ospedaliere con le stesse terapie analgesiche, soffre mediamente di meno se è inserito nel suo ambiente naturale.
Anche per quanto riguarda l'aspetto economico, di non secondaria importanza, esistono stime che sottolineano come i costi della gestione ospedaliera siano almeno il quadruplo rispetto a quelli richiesti dal trattamento domiciliare.
Un ulteriore argomento a favore della strategia della cura a domicilio, ma anche un continuo terreno di impegno e di confronto, è rappresentato dal coinvolgimento e dal supporto dei familiari nel difficile compito dell'assistenza al loro malato: ogni persona vive la malattia in modo assolutamente unico, a seconda della sua storia, ma anche del contesto in cui vive; l'inserimento del gruppo di assistenza domiciliare all'interno delle relazioni familiari implica la necessità di individuare il membro della famiglia che più si adatta al ruolo di referente, collaboratore e "leader" nella gestione dei bisogni quotidiani del malato. Andare a casa del paziente, ascoltarlo e coinvolgere i familiari richiede agli operatori sanitari la capacità di accogliere e, se possibile, rispondere a problematiche sempre nuove e spesso molto complesse e delicate. La capacità di stabilire una giusta risonanza emotiva col paziente e i familiari, la possibilità di valutare la natura dei rapporti umani all'interno della famiglia e di restaurarli quando compromessi, il concentrarsi sulla qualità di vita del paziente, considerando il malato e la sua famiglia come un'unità di cura, forniscono ai componenti dell'équipe di assistenza domiciliare la grande opportunità, altrimenti irrealizzabile, di recuperare il senso profondo della medicina come scienza e arte per la salute psicofisica dell'essere umano.
Anche nell'ottica di un più fisiologico inserimento nelle dinamiche emotive del malato e dei familiari, grande risalto va riconosciuto alla necessità di una stretta e totale collaborazione tra medico palliativista e medico di medicina generale, che va continuamente coinvolto e affiancato dal collega specialista.
Gli anni Ottanta hanno visto il progressivo ampliarsi del ricorso all'assistenza domiciliare: dalle prime esperienze italiane presso l'Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori (1979), nel giro di pochi anni si è sviluppata, a Milano così come in molte altre realtà locali italiane, una rete di Centri di Cure Palliative.
Un servizio supplementare fornito da talune strutture consiste attualmente nella possibilità, per alcuni pazienti adeguatamente selezionati e consenzienti, di istallare al domicilio del malato un sistema di video-comunicazione telefonica, interattiva e informatizzata; tale progetto permette di trasmettere le informazioni in tempo reale dall'abitazione del paziente alla Divisione di Cure Palliative, consentendo così di migliorare il servizio al malato terminale, riducendo i tempi diagnostici e terapeutici, oltre che evitandogli, almeno in parte, gli elevati costi, umani e finanziari, di un'ospedalizzazione inutile.
La collocazione delle Unità di Cure Palliative all'interno delle strutture ospedaliere definisce comunque la qualità del programma di assistenza domiciliare consentendo, mediante l'utilizzo di alcuni servizi essenziali, una razionalizzazione dell'organizzazione: con lo sfruttamento delle qualità tecnico-scientifiche dell'ospedale si impediscono infatti una dispersione di risorse e una scarsa efficienza del servizio ai malati terminali.
L'attività di cure domiciliari deve in definitiva comprendere, per essere completa, varie forme di operatività, che consistono in diversi e peculiari interventi palliativi erogabili solo da unità operative inserite in un contesto ospedaliero:
- Ambulatorio di terapia del Dolore e Cure Palliative;
- Servizio di Day-Hospital/Day-Surgery;
- Servizio di Assistenza Domiciliare;
- Servizio di Degenza.
Un programma assistenziale moderno si deve proporre obiettivi generali e obiettivi specifici. Tra i primi vi sono: assistere il malato e la famiglia, coordinare il programma di assistenza, integrare i servizi esistenti, ridurre il numero e la durata dei ricoveri in luoghi di degenza per malati acuti, diffondere la filosofia delle cure palliative.
Per quanto riguarda gli obiettivi specifici per il malato, vi sono il controllo del dolore e degli altri sintomi, il supporto psicologico, la riabilitazione e l'assistenza sociale; per quanto concerne invece la famiglia, gli obiettivi consistono nel supporto psicologico e socio-economico, nell'integrazione all'interno del gruppo di assistenza domiciliare e nell'assistenza al lutto.
Non ultima in ordine di importanza dev'essere considerata l'attenzione ai potenziali elementi di qualità del servizio proposto: la specificità degli interventi di Terapia del Dolore e Cure Palliative ha assunto un ruolo sempre maggiore nella cura dei malati neoplastici in fase avanzata. Questo ha fatto aumentare la necessità di monitorare l'appropriatezza e l'efficacia delle cure a livello medico, infermieristico e di volontariato e di adattare le stesse alle specifiche esigenze dei malati, alla loro età, ai loro vissuti, alla loro storia personale.
Alcuni autori hanno definito il campo d'azione delle cure palliative "una medicina non per aiutare a morire, ma una medicina per l'uomo". Anche quando molti medici arrivano alla conclusione che "non c'è più nulla da fare", è importante garantire a chi ci sta lasciando di abbandonare la vita con meno dolore e meno paura possibili: perché affetto e cure aiutano chi muore e chi rimane a mantenere alto il senso della dignità umana.
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Il morbillo è una tipica malattia infantile. Malattie esantematiche. Il morbillo, tipica malattia infettiva, si presenta con un'eruzione maculo-papulare diffusa di colorito rosso acceso, accompagnata da febbre elevata, tosse, fotofobia e talvolta ingrossamento dei linfonodi.