Teoria darwiniana
Ipotesi centrale di Darwin è che tutti gli organismi derivino da un tipo o da pochi tipi di organismi primitivi semplici, che si sono diversificati adattandosi ai diversi ambienti. La diversificazione e l'adattamento vengono spiegati con la concomitanza di due fenomeni: le variazioni nell'ambito di un certo tipo di organismi e la pressione esercitata dalla selezione naturale.
Le variazioni, sotto forma di differenze individuali, sono presenti in ogni specie o popolazione: esse vengono scelte, selezionate in base alla loro utilità in un determinato ambiente. La selezione viene chiamata naturale, per analogia con quella artificiale operata dall'uomo nell'allevamento di piante e animali. Le variazioni che offrono le migliori probabilità di sopravvivenza e di propagazione vengono mantenute, le altre eliminate. L'idoneità (fitness, in inglese) non è definita nel senso limitato di abilità di un organismo di lottare con i rivali per cibo, territorio e accoppiamento, ma come capacità di lasciare una discendenza. L'evoluzione è quindi un cambiamento graduale nella costituzione ereditaria della specie.
I presupposti della teoria darwiniana, insieme alle conoscenze della genetica mendeliana, hanno permesso lo sviluppo della sintesi neodarwiniana, teoria in cui la selezione naturale rappresenta ancora la forza principale dell'evoluzione, ma la conoscenza dei geni permette di capire l'origine della variazione per mutazione, il mantenimento di variazioni latenti (cioè non nocive né immediatamente utili) e la generazione di variazioni attraverso la ricombinazione genetica, che mette a disposizione della selezione naturale nuove combinazioni su cui agire.
L'essenza dell'evoluzione sta nel verificarsi di cambiamenti nella costituzione genetica di una popolazione. Per studiare questo processo è nato un ramo della biologia che va sotto il nome di genetica di popolazioni. Il termine di popolazione viene qui inteso semplicemente come gruppo di organismi a riproduzione sessuata, che si riproducono tra loro (della stessa specie). L'unità di osservazione si sposta dal singolo individuo alla popolazione. In questo tipo di popolazione la trasmissione dei geni tra gli individui segue i principi mendeliani. Una popolazione è definita dal suo pool genico, cioè dalla somma di tutte le varianti (alleli) di tutti i geni degli individui che la compongono.
La genetica di popolazioni si compone di una parte strettamente teorica, che impiega modelli matematici per spiegare la struttura genetica delle popolazioni e i processi evolutivi, e di una parte sperimentale, basata sull'analisi diretta delle popolazioni. Nella specie umana alcuni individui presentano caratteristiche poco frequenti, come l'albinismo o il nanismo. La spiegazione di questa differenza, nel caso dell'albinismo, è dovuta al fatto che gli alleli per la produzione di melanina, il pigmento che dà alla pelle e all'iride una colorazione normale, sono molto comuni, mentre gli alleli che determinano l'albinismo sono molto rari. Nello studio genetico di una popolazione si calcolano appunto le frequenze degli alleli presenti. Attraverso lo studio delle frequenze alleliche, si distinguono diverse popolazioni e si segue il mutare delle frequenze con il passare delle generazioni: cioè si può seguire l'evoluzione di un certo gene nel tempo.
Come viene mantenuta la variabilità nell'ambito di una popolazione? Perché coesistono alleli dominanti e recessivi, e perché questi ultimi non sono stati eliminati? La risposta a questa domanda è stata data da due scienziati, Hardy e Weinberg, i quali, indipendentemente, hanno dimostrato che la ricombinazione genetica, che si verifica a ogni generazione negli organismi diploidi, non modifica la composizione globale del pool genico. Per dimostrare ciò si sono serviti di un modello di popolazione ideale, così caratterizzata: non subisce mutazioni; è "chiusa", cioè non subisce flusso di geni dall'esterno né li perde; è sufficientemente grande per applicarvi le leggi della probabilità; l'accoppiamento deve essere casuale. Inoltre i discendenti di un incrocio hanno tutti la stessa probabilità di sopravvivere e di riprodursi, come in assenza di selezione.
In una popolazione molto grande, dove l'incrocio sia casuale, in assenza di mutazione, selezione e migrazione le frequenze alleliche rimangono costanti. Questo principio, benché lontano dalla realtà delle popolazioni naturali, in cui agiscono tutti i fattori che sono stati esclusi dalla popolazione ideale, è estremamente importante, perché costituisce la base su cui misurare tutti i cambiamenti che il pool genico di una popolazione subisce, la loro grandezza e direzione. Analizzeremo ora tutti i fattori che producono variazione, cioè che allontanano la popolazione dallo stato di equilibrio del modello di Hardy-Weinberg e che permettono alla popolazione di evolversi.