tarsìa
(non comune tàrsia), sf. [sec. XIII; dall'arabo tarsīʽ]. Superficie figurativa, generalmente con funzione decorativa, ottenuta con la tecnica dell'intarsio. Mentre quest'ultimo termine ha un significato più largo e indica, con il procedimento, combinazioni di legno e avorio, legno e metallo, legno e madreperla ecc., il termine tarsia è più usato per lavori solo in pietra (ancorché di diversa natura) e solo in legno (combinazione di diverse specie) e indica sempre le opere compiute, non il procedimento. La grande diffusione della tarsia si ebbe in età romana, dal sec. I d. C., nel periodo tardoantico, e quindi in Italia nei sec. XIII-XIV, per decorare pavimenti e pareti esterne di edifici religiosi con scene figurate, ma soprattutto con disegni geometrici. Nel Rinascimento sono famose le tarsie lignee con figurazioni prospettiche (studiolo del Palazzo Ducale di Urbino; coro del duomo di Modena, dei Canozzi da Lendinara). In età barocca la tarsia marmorea e di pietre preziose (ametiste, lapislazzuli ecc.) simulò spesso stoffe e drappi nella decorazione di pilastri, baldacchini, altari, tombe.