sufìsmo
sm. [sec. XX; dall'inglese sufism, dall'arabo ṣūfī, da sūf, lana, perché i seguaci indossavano un saio di lana di cammello]. Corrente mistica del mondo islamico che, come ogni misticismo, si espresse essenzialmente nella rinuncia al mondano e nelle pratiche ascetiche. La rinuncia al mondano equivaleva alla rinuncia al sistema politico-sociale instaurato dall'islamismo e, pertanto, comportava la non osservanza delle norme che sorreggevano tale sistema. Donde il comportamento anormale dei sufi e la loro cosciente e programmatica infrazione delle leggi civili e religiose. La teoria soggiacente a ogni forma di sufismo può essere ridotta a due fasi essenziali: un movimento da Dio all'uomo e un movimento dall'uomo a Dio. Nella prima fase si ha il ricevimento delle grazie divine mediante l'adorazione; nella seconda l'adeguamento alle grazie acquisite mediante l'esercizio di una scienza spirituale (detta anche scienza dei cuori) ossia delle pratiche ascetiche che permettono di raggiungere Dio. Il sufismo si diffuse rapidamente e giunse al suo culmine nel sec. XI; in seguito fu perseguitato dall'ortodossia islamica che dichiarò eretici (zanadiqa) i sufi, sia perché accoglievano le dottrine più disparate (dalla tradizione greca a quella indiana), sia per il loro voler essere al di fuori della norma stabilita.