spiritualìsmo
sm. [sec. XIX; da spirituale]. In filosofia, termine di uso estremamente ampio, e tuttavia altrettanto generico e impreciso, sotto cui generalmente vengono designate tutte quelle concezioni e direzioni di pensiero che, sulla base della contrapposizione tra “materia” e “spirito”, finiscono per considerare come principale e predominante, nell'uomo come in tutta la realtà, l'elemento spirituale. Sul piano teoretico è possibile operare una distinzione preliminare tra un tipo di spiritualismo che, nel postulare un dualismo tra lo spirito e la materia, concepisce la realtà come un teatro di lotta del primo nei confronti della seconda, che pure è destinata a venirne dominata e permeata, e un tipo di spiritualismo che invece afferma la totale natura spirituale della realtà e dell'universo, e la materia come una pura apparenza accidentale e come degradazione dello spirito. In queste forme, lo spiritualismo – che ha forti radici nell'antica filosofia greca – viene a essere tipico di gran parte del pensiero religioso e si contrappone a tutte le forme di materialismo. Nel pensiero contemporaneo, e particolarmente nell'Ottocento, si è avuta una rinascita dello spiritualismo, parallela del resto a tentativi di raffinamento e precisazione del concetto, soprattutto a opera del pensiero francese, con F. Maine de Biran, H. Bergson, M. Blondel, R. Le Senne, L. Lavelle (esponenti, questi ultimi due, di una particolare forma di esistenzialismo spiritualistico); mentre una forma di spiritualismo, lo spiritualismo “cristiano”, si è poi affermata in Italia, come filosofia cristiana che si distacca dal neotomismo e affonda le radici piuttosto nell'attualismo gentiliano, che intende riformare. Hanno teorizzato questa forma di spiritualismo soprattutto A. Carlini, A. Guzzo, L. Stefanini, M. Sciacca, R. Lazzarini e F. Battaglia.