sabi
s. giapponese usato in italiano come sm. Nella sua più elementare accezione significa “logorio” o “patina” del tempo e nel sec. XV entrò nella terminologia dell'estetica nipponica per tradurre il sentimento di “serena semplicità” o di “tranquillo abbandono” suscitato dal prodotto artistico. In tal senso fu utilizzato da Zeami per ampliare e approfondire il concetto di yugen che, dalla connotazione puramente ovvia ed esteriore di “leggiadria cortese”, venne così ad acquisire quella più suggestiva e trascendente di “grazia sottile, recondita”, rendendo la distinzione con la “serena semplicità” del sabi quasi del tutto impercettibile. Dopo tale passaggio, l'idea di sabi fu rifinita e perfezionata da Bashō col quale venne definitivamente a ricoprire il senso di “tranquillo, intimo abbandono”, un concetto che segnò la grande, forse la più alta conquista nel campo degli ideali estetici del Giappone premoderno.