pluripartitismo
Indicesm. [sec. XX; da pluri-+partito]. Sistema politico di tipo democratico-parlamentare basato sulla presenza e la competizione di più partiti, il pluripartitismo è teoricamente posto dallo stesso concetto di “partito” (cioè “parte”, dal latino pars) che di per sé postula l'esistenza di una molteplicità di associazioni politiche concorrenti. Caratteristico in genere delle democrazie occidentali, questo sistema ha però assunto forme diverse in rapporto alle tradizioni e agli sviluppi della lotta politica nei singoli Paesi e in relazione al sistema elettorale in essi adottato. Il pluripartitismo si differenzia dal monopartitismo (o sistema a partito unico) e, al suo interno, si distingue in bipartitismo e multipartitismo. Mentre il bipartitismo (favorito dai sistemi elettorali maggioritari uninominali) è infatti caratterizzato da due soli partiti in concorrenza elettorale e in genere alternantisi al governo, il multipartitismo (favorito dalla rappresentanza proporzionale che assicura a ciascuna forza politica un peso parlamentare corrispondente al peso dei voti ottenuti) prevede la compresenza di più di due partiti. Questi possono concorrere alle elezioni sia singolarmente sia alleandosi in coalizioni, dando luogo sovente, in quest'ultimo caso, al confronto tra due schieramenti contrapposti secondo uno schema bipolare che tuttavia mantiene le differenze tra i partiti interni a ciascuno dei due “poli”. In genere i sistemi bipartitici, e in via subordinata quelli bipolari, sono considerati maggiormente funzionali ai fini dell'efficienza democratica e della corretta vita istituzionale dei regimi pluripartitici, giacché consentono elevate aspettative di alternanza al governo, reciproca pragmatica moderazione tra le forze in competizione e maggioranze governative più coese che si assumono nette responsabilità politiche per la gestione dello Stato. Conseguentemente si riscontra con frequenza una contrapposizione tra il modello, giudicato positivo, del bipartitismo (e subordinatamente del bipolarismo) e quello, giudicato più negativo, del multipartitismo, storicamente desunto dai caratteri della Repubblica di Weimar, della Terza e Quarta Repubblica francese e dell'Italia pre- e postfascista. In questa visione peculiarità del multipartitismo sarebbero pertanto le seguenti: forte concorrenzialità tra i partiti, i quali restano eterogenei e conflittuali tra loro anche nel caso in cui formino coalizioni governative, di solito risultanti da lunghe contrattazioni postelettorali e, quindi, non determinate dalla diretta volontà degli elettori; conseguente scarsa stabilità delle maggioranze parlamentari e dei governi; potenziamento dello scontro ideologico e programmatico causato dalla necessità di ciascun partito di differenziarsi dagli altri e disincentivazione della moderazione e del pragmatismo. Va rilevato tuttavia che questa giustapposizione tra pluripartitismo bipartitico e pluripartitismo multipartitico non regge alla prova dei fatti. Il bipartitismo puro, infatti, è storicamente un caso talmente raro da configurarsi più come un'eccezione che come un modello (anche per quella Gran Bretagna che ne viene considerata il prototipo e dove sono sempre esistiti partiti minori oltre ai laburisti e ai conservatori). Inoltre il multipartitismo ha trovato una varietà di applicazioni che ne impediscono qualsiasi generalizzazione in termini negativi, in particolare in relazione ai rischi di eccessiva frammentazione del sistema partitico. È anzi utile distinguere un multipartitismo “limitato”, caratterizzato dall'esistenza di non più di tre o quattro partiti in concorrenza tra loro (come, per esempio, nelle democrazie scandinave), e uno “esasperato”, nel quale la presenza di un numero elevato di partiti rende effettivamente difficile la formazione di maggioranze politicamente omogenee con relativa scarsa stabilità governativa. Questo secondo tipo di multipartitismo può rappresentare in alcuni momenti storici una pericolosa degenerazione del pluripartitismo, specialmente quando i partiti diventano fragili e si formano precarie coalizioni di notabili, senza un autentico controllo democratico della base e senza un corretto funzionamento degli organi costituzionali (a cominciare dal Parlamento, ridotto a stanza di registrazione delle volontà di chi detiene il potere negli apparati dei partiti). Di contro si registrano in molti Paesi esempi di multipartitismo estremo privi degli effetti d'instabilità attribuiti al modello, soprattutto in quelle realtà contrassegnate da culture politiche omogenee rispetto ai valori democratici. Altrove, come in Svizzera, nei Paesi Bassi e in Belgio, anche in assenza di questa omogeneità politico-culturale e anzi in presenza di profonde divisioni di tipo religioso, etnico, regionalistico ecc., il multipartitismo riesce a funzionare proprio in quanto esprime una segmentazione culturale dalle radici antiche, con alta coesione delle rispettive subculture e conseguente capacità delle classi dirigenti di sviluppare atteggiamenti di cooperazione, compromesso e negoziazione. A questi esempi possono far da contrappeso quei sistemi multipartitici immobilisti (tipico esempio ne è stata l'Italia dal dopoguerra fino all'inizio degli anni Novanta del Novecento) caratterizzati da più estese tensioni sociali, da rigide giustapposizioni ideologiche, da profonde linee di frattura culturale e geopolitica che determinano maggior instabilità governativa e – anche contemporaneamente – lunghe fasi d'inamovibilità nei ruoli dei partiti di governo e d'opposizione.
Bibliografia
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