plàgio
sm. [sec. XIX; dal latino plagíum, dal greco plágios, ingannevole, obliquo]. Nel diritto romano, l'indebito esercizio della potestà sopra servi altrui o su liberi; per i servi era comminata la multa, per i liberi la relegazione o la morte. Nel diritto moderno il plagio si configura come reato di assoggettamento totale di una persona al proprio potere non in senso materiale, ma in senso psichico, come incapacità della vittima all'esercizio autonomo della propria volontà. § Nel diritto d'autore, appropriazione illecita della forma intima di un'opera dell'ingegno e del suo modo peculiare di rappresentare fatti, idee e sentimenti. Data la difficoltà di stabilire quando veramente si configuri il reato di plagio, la dottrina giuridica segue in genere questo criterio: esiste il plagio quando l'identità di rappresentazione fra le due opere sia riconoscibile ossia le due opere siano sostanzialmente un'unica rappresentazione. Contro il plagio di opere dell'ingegno il diritto civile interviene per prevenirlo proteggendo il diritto esclusivo di utilizzazione delle opere e la rimozione di ciò che è stato fatto contro tale diritto; il diritto penale da parte sua commina contro il reo di plagio la multa e quando si tratti di plagio di opera non destinata a pubblicazione la pena della reclusione. Per il plagio industriale, vedi brevetto.