paternalismo

sm. [sec. XX; dall'inglese paternalism, da paternal, paterno]. Atteggiamento secondo il quale i governanti attuano una politica che, pur tendendo “con paterna sollecitudine” al progresso e al benessere dei governati, non li considera però capaci di perseguire tali fini in modo autonomo. Il paternalismo trovò la sua massima attuazione sotto il profilo politico nei sec. XVII e XVIII con la formazione degli Stati nazionali e l'assolutismo illuminato, per cui il principe, seppure in funzione del bene supremo del popolo, esercitava in modo dispotico i pubblici poteri. Esempi di Stati amministrati paternalisticamente furono la Prussia di Federico il Grande, l'Austria di Giuseppe II e, in parte, anche la Russia di Caterina II. Anche dopo la Rivoluzione francese, che mise fine al paternalismo settecentesco, vi furono ancora alcuni governi ispirati a questi principi, come la Toscana dei Lorena e gli Stati della Federazione Germanica, che sopravvissero fino alla metà dell'Ottocento. § In campo sociale è l'attitudine e il comportamento di un capo o di un superiore gerarchico nei confronti dei suoi subordinati che egli tratta con condiscendenza. In una società industriale il paternalismo nell'esercizio dell'autorità è inteso in senso negativo. Infatti in una società dove devono prevalere rapporti funzionali basati sulla responsabilità, sulla competenza,sull'autorità gerarchica, sulla distribuzione di mansioni precise, il paternalismo risulta disfunzionale in quanto tende a sostituire questi rapporti con altri di natura protettiva.

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