pahāri
agg. e sf. sanscrito (propr. nome di una lingua neoindiana). Stile della pittura indiana delle montagne, uno dei due filoni principali della scuola Rājpūt, e precisamente quello fiorito (sec. XVII-XIX) attraverso le numerose scuole sviluppatesi presso le varie corti dei piccoli reami sparsi nell'alto Punjab (l'altro filone della scuola Rājpūt, fiorito nel Rajputana, è detto rajāsthāni). Più che scuole vere e proprie, quelle della pittura himalayana devono considerarsi come tendenze o variazioni di un'unica tradizione, basata su componenti stilistiche di indubbia origine locale, ma fortemente permeate dal gusto e dalle convenzioni della scuola Moghūl, caratteristiche che affiorano in misura diversa nell'espressione pittorica di tutte le scuole di pittura pahāri, ognuna delle quali prende nome dalla località del principato in cui si è sviluppata. Caratteri costanti della pittura pahāri sono la varietà e la vivacità del prezioso cromatismo, le comuni fonti di ispirazione e la predilezione per le scene amorose, dove l'immagine femminile appare poeticamente idealizzata. Delle decine di scuole pahāri si indica anzitutto quella di Basohli, che fu la prima a sviluppare uno stile originale di pittura e che è considerata la corrente principale della pittura del Punjab. Seconda per importanza viene quella di Guler, dove furono attivi pittori provenienti dalla scuola Moghūl. Seguono quindi le scuole di Kangra (che costituì l'ultima manifestazione dell'arte rājput e la cui attività durò dalla seconda metà del Settecento fino alla fine del sec. XIX); di Jammu (sviluppatasi con stile ricco e coerente nel corso del sec. XVIII); di Garwal; di Kulu (più fortemente permeata da accenti di arte popolare), alla quale si ricollega per affinità quella di Bilaspur (fiorita dal 1660). Più fortemente influenzate dallo stile di Basohli furono le scuole di Nurpur e di Chamba, destinate tuttavia a sviluppare una pittura di stile locale.