Lessico

Variante meno comune di ubbidienza, ma preferita in alcune accezioni specifiche di uso storico, giuridico ed ecclesiastico. In particolare: A) uno dei doveri che incombono al pubblico impiegato in forza del rapporto di “gerarchia” sul quale è strutturato l'ordinamento amministrativo. Tale obbligo è disciplinato dallo Statuto degli impiegati civili dello Stato (Decreto presidenziale 10 gennaio 1957, n. 3). In ordine al limite del dovere di obbedienza, l'art. 17 del suddetto Statuto esime l'impiegato dall'eseguire l'ordine del superiore quando l'atto è vietato dalla legge penale, e gli impone il dovere, quando l'ordine del superiore appaia palesemente illegittimo, di farne “rimostranza” e di darvi esecuzione solo quando gli viene rinnovato per iscritto. B) Obbedienza militare, principale dovere derivante dal rapporto di subordinazione gerarchica per il quale l'inferiore deve obbedienza al superiore in tutto ciò che si riferisce al servizio e alla disciplina. Secondo il regolamento di disciplina militare, l'obbedienza deve essere pronta, rispettosa e leale, qualunque sia il livello gerarchico del superiore da cui proviene l'ordine. È obbedienza leale quella rivolta con ogni mezzo e senza riserve al conseguimento di ciò che viene ordinato. Il dovere dell'obbedienza è assoluto, salvi i limiti posti dalla legge penale: infatti, secondo l'art. 40 del Codice Penale Militare di pace, quando l'ordine sia manifestamente criminoso, l'inferiore non può invocare a propria scusa l'ordine ricevuto e, se lo esegue, è responsabile anch'egli, insieme col superiore che ha dato l'ordine, del reato commesso.

Diritto

Rifiuto o ritardo di obbedienza, reato contro la pubblica amministrazione commesso dal militare o dall'agente della forza pubblica che rifiuta o ritarda, senza legittimo motivo, di eseguire un ordine impartitogli dall'autorità competente. Il reato è punito con la reclusione fino a due anni.

Fondamenti storico-giuridici di diritto pubblico

L'obbedienza s'identifica nella posizione passiva di un soggetto sottoposto a un vincolo di subordinazione nei confronti dell'autorità a lui sopraordinata. Potestà ordinatoria e dovere di obbedienza sono elementi correlativi: la prima è esercitata da un soggetto attivo (che ordina), la seconda determina nel soggetto una posizione passiva, che esclude ogni discussione o esame critico del comando ricevuto, ma solo esige la sua esecuzione. Nel diritto pubblico hanno carattere vincolativo la maggior parte degli ordini generali, che si caratterizzano come provvedimenti amministrativi (per esempio chiamata alle armi, ordini di polizia, ecc.). Legittimano la richiesta di obbedienza passiva lo status di cittadini, la presenza nel territorio dello Stato e la proprietà di un bene. L'imperatività del provvedimento esclude il rifiuto e la disobbedienza comporta responsabilità penali. Il dovere di obbedienza acquista maggiore rilevanza quando il soggetto è partecipe di un'organizzazione, perché in tal caso egli diventa elemento strumentale per la realizzazione dei fini che l'organizzazione si propone: è il caso degli addetti alla pubblica amministrazione, dove il dovere dell'obbedienza è condizione necessaria per dare conformità alla sua struttura e attività. Alle tesi giuridiche si aggiungono anche quelle filosofiche, interessate a stabilire fino a che punto ed entro quali limiti il suddito debba obbedire all'autorità da cui dipende. Sull'argomento furono formulate la teoria dell'obbedienza attiva, la quale afferma che l'autorità va sempre obbedita e quella dell'obbedienza passiva, che esenta il suddito dall'obbedienza solo nel caso in cui l'ordine dell'autorità contravvenga alle leggi naturali o divine, purché sia disposto a subire le sanzioni conseguenti alla sua disobbedienza. Questa teoria è in stretta connessione con la cosiddetta “teoria teologica”, che fa derivare l'autorità direttamente da Dio e questa è la dottrina enunciata da San Paolo: “Ogni anima sia sottoposta alle potestà superiori, perché non c'è potestà se non da Dio e i poteri che esistono sono istituiti da Dio” (Epistola ai Romani 13,1) e fatta propria dalla Chiesa anche attraverso la voce dei suoi dottori, come Sant'Agostino, San Isidoro di Siviglia, Gregorio Magno e San Tommaso d'Aquino, che nel De regimine principum così si esprime: “Da Dio, come dal primo dominante deriva ogni dominio”. La Chiesa non ha mai smentito questa dottrina e nel suo lungo cammino talora se ne è servita per ottenere privilegi dal potere civile o per fare da copertura ai suoi compromessi con esso. Anche quando Chiesa e Impero si scontrarono nella lotta delle Investiture e in tante altre contese di competenza, non è in discussione il principio della derivazione di ogni potere da Dio, ma solo la prevalenza del potere spirituale su quello temporale. In ogni caso il suddito doveva sempre e solo un'obbedienza passiva e papa Gregorio Magno ricordava l'obbligo di astenersi persino da qualsiasi critica contro i governanti. Nel sec. XVI la teoria dell'obbedienza passiva divenne l'elemento determinante dell'assolutismo e si trasformò in un instrumentum regni nelle mani dei sovrani, specialmente in Francia e in Spagna. Con l'affermarsi delle dottrine del contrattualismo e del giusnaturalismo il fondamento dell'autorità passa da Dio al popolo e di conseguenza l'obbedienza del suddito, pur non variando nella sua natura, si muove nell'ambito della libertà, perché l'atto di obbedienza non è più imposto ab extra, ma da un'autorità che fa uso di un potere demandatole dal popolo e nella misura in cui esso è determinato al bene della collettività. Ed è questo il concetto che nello Stato democratico giustifica l'obbedienza.

Religione e diritto canonico

L'obbedienza è una virtù morale che fa accettare al cristiano la volontà di Dio e di chi in Terra lo rappresenta come regola delle proprie azioni. L'obbedienza a Dio è di natura strettamente religiosa e vi sono tenuti quanti credono in lui; verso i genitori l'obbedienza si chiama pietà filiale e consiste nella disposizione a piegarsi alla volontà dei genitori in quanto espressione della volontà di Dio; verso i superiori ecclesiastici l'obbedienza è detta osservanza. Di tutte le virtù morali l'obbedienza a Dio è la maggiore, perché presuppone la rinuncia a tutti i beni e al proprio io per identificarsi nella volontà divina, per cui si dice che “l'obbedienza vale più del sacrificio”. Nella via del perfezionamento morale l'obbedienza si sviluppa in tre gradi: eseguire materialmente il comando; conformare la propria volontà al comando del superiore; sottoporre al giudizio del superiore anche il proprio giudizio, obbedendo senza chiedersi il perché ma solo in virtù di obbedienza: questo vale specialmente nell'atto di obbedienza a Dio, accettando il suo volere anche quando ci rimane nascosto nei suoi fini ultimi. È il grado massimo dell'obbedienza, perché identifica questa virtù con l'amore di Dio. § Secondo il diritto canonico si ha: l'obbedienza canonica, che il chierico deve al proprio vescovo non in virtù del voto, ma di una promessa. Questa impegna il chierico sub gravi; è tale anche l'obbedienza che il vescovo o l'arcivescovo promette al papa; l'obbedienza religiosa, promessa con voto da chi entra nello stato religioso, ha come oggetto i precetti, impartiti dal superiore.

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