matto¹

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agg. e sm. [sec. XIII; forse latino tardo mattus, ubriaco].

1) Agg., che non ha in tutto o in parte l'uso della ragione; folle, insensato, pazzo: suo fratello è diventato matto; sei matto?, riferito a chi dice o fa cose sconvenienti, strane, pericolose; fossi matto!, per indicare che non si ha nessuna intenzione di fare una data cosa; fig.: diventar matto intorno a qualche cosa, scervellarsi per trovare una soluzione. Popolare, dar fuori da (o di) matto, avere uno scatto d'ira improvviso e sproporzionato, perdere di colpo il lume della ragione. Per estensione, bizzarro, stravagante, estroso: è una testa matta; un cavallo matto, ombroso. Con valore iperb. e rafforzativo, grandissimo, straordinario: provare un gusto matto; avere una voglia matta di qualche cosa; si vogliono un bene matto.

2) Familiare, di cose, falso, non buono o non integro: soldi, gioielli matti; una gamba matta, debole, zoppa. Non comune, opaco, non lucido: oro matto; carta matta.

3) Ant., stupido, stolto.

4) Sm. (f. -a), persona con tali caratteristiche: coi matti non si può ragionare; gridare come un matto, a squarciagola, in modo incontrollato; roba, cose da matti, assurde, inconcepibili. In particolare, persona bizzarra, stravagante, non del tutto equilibrata; capo ameno: sei un bel matto; gabbia di matti, ambiente pieno di gente allegra, rumorosa, bizzarra; fare il matto, essere sfrenatamente allegro, fare stranezze.

5) Nel gioco dei tarocchi, nome di uno dei trionfi.

6) Tecnica decorativa usata nella lavorazione dell'argento durante il sec. XVII soprattutto presso gli argentieri olandesi, che poi ne diffusero la pratica in Europa. Detta anche “fondo opaco” per la tonalità che conferisce all'argento, tale tecnica consisteva nel praticare pazientemente sulla superficie del metallo una punzonatura particolare a intervalli uniformi.

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