libèrto
sm. [sec. XIV; dal latino libertus]. Nell'antica Roma, individuo liberato dallo stato servile con le procedure legali della manomissione. Il liberto restava però in una condizione di inferiorità rispetto all'ingenuo, il cittadino di pieno diritto nato libero. Sul piano politico, il liberto aveva limitazioni nell'esercizio dei diritti del cittadino: quello di voto era ridotto al minimo, non poteva rivestire le magistrature più elevate, né sedere in Senato, e, fino alla riforma militare di Mario, non serviva nella legione. Solo nella prima età imperiale, per la categoria dei liberti favoriti di corte e con censo equestre, venne riconosciuto un regime speciale con l'assimilazione agli ingenui, arrivando essi a ottenere anche l'anello d'oro dei cavalieri e la reintegrazione nei diritti di chi nasce libero (restitutio natalium). Riguardo ai rapporti con l'antico padrone (patrono), il liberto ne assumeva il nome e il prenome, mentre il suo nome personale diventava cognomen; doveva riconoscenza e ossequio al patrono al pari del cliente; doveva rendergli dei servizi, non poteva citarlo in giudizio; sui suoi beni il patrono conservava diritto di successione. I liberti ebbero notevole peso nella vita economica e sociale romana. Praticando il commercio e l'artigianato arrivavano a mettere insieme grandi ricchezze: molti erano banchieri, medici, costruttori, insegnanti, editori, letterati. Largo fu l'influsso da essi esercitato nell'ambito delle famiglie, in cui spesso avevano svolto uguali attività come schiavi, in particolare nelle corti imperiali, anche se la buona società romana conservò a lungo un certo disdegno per la loro origine servile e straniera, disdegno derivante anche dall'invidia per i loro rapidi arricchimenti. Alcuni nomi di liberti sono rimasti famosi nella letteratura e nella storia: Livio Andronico, Terenzio e Fedro, scrittori; Epitteto, filosofo; il padre di Orazio; Pallante e Narciso, consiglieri di Claudio, ed Epafrodito consigliere di Nerone; Trimalcione, il protagonista del Satyricon di Petronio. Per evitare un'alterazione troppo rapida della popolazione romana, Augusto, seguito poi da Tiberio, pose un freno alle manomissioni indiscriminate di schiavi affluenti in Roma da ogni parte e in gran numero, limitando quelle operate per testamentum, cioè per morte, o proibendo quelle fatte da minorenni e quelle di schiavi dietà inferiore ai trent'anni. È un fatto però che la classe dei liberti diede un certo dinamismo alla società romana, anche se non è da accettare che, come sostenuto da alcuni, in età imperiale l'80% della popolazione di Roma fosse di provenienza servile. Le manomissioni si accentuarono con l'affermarsi del cristianesimo per i principi ugualitari da esso predicati e per l'affievolirsi della nozione di cittadino.