intermèzzo

sm. [sec. XVI; da (tempo) inter(medio), rifatto su mèzzo].

1) Intervallo fra un atto e l'altro di uno spettacolo teatrale. Per estensione, pausa, interruzione.

2) Breve rappresentazione, in genere comica, inserita tra un atto e l'altro di uno spettacolo drammatico per occuparne l'intervallo. § Nel teatro drammatico, questa forma di rappresentazione (dapprima denominata intermedio) tra la seconda metà del sec. XV e il XVII assunse caratteristiche diverse: dalla semplice esecuzione di una canzone, di una lauda, di un brano strumentale a una mescolanza di esibizioni di vario genere (danze, pantomime, canti, ecc.), che venne adornandosi dello sfarzo di apparati secondo il gusto delle corti rinascimentali e, nel sec. XVI, si ordinò in una struttura (tra intermezzo e intermezzo correva un esile filo di trama, per esempio, allegorica). Spesso gli intermezzi servivano a rendere evidente il trascorrere del tempo durante l'azione rappresentata. Adottato anche dai comici dell'Arte, l'intermezzo finì con l'assumere la fisionomia di un genere autonomo. Analogo all'intermezzo italiano fu l'intermède francese (di solito in Molière collegato, sia pur vagamente, con la vicenda della commedia); carattere autonomo ebbero l'interlude inglese e l'entremés spagnolo, composizione giocosa coltivata, fra l'altro, da Cervantes. § Protagonisti dell'intermezzo musicale erano di solito un soprano e un basso buffo, i cui caratteri erano modellati secondo i tratti dei personaggi della Commedia dell'Arte o del contemporaneo teatro comico italiano e francese. Il genere dell'intermezzo, che ha il suo capolavoro in La serva padrona di Pergolesi (1733), fu in auge nell'operismo italiano della prima metà del Settecento e tutti i maggiori autori del tempo ne scrissero. Altre volte, nell'opera teatrale, l'intermezzo assume il significato di interludio. Nell'Ottocento il termine indicò anche una breve composizione strumentale, libera e solitamente pianistica; in questa accezione scrissero intermezzi Schumann, Brahms, ecc.