imperativo

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agg. [sec. XIV; dal latino tardo imperatīvus, da imperāre, comandare].

1) Che tende a comandare; anche che esprime un comando: toni aspri e imperativi. Come sm., nell'uso filosofico, autoimposizione di carattere etico. § Nella filosofia kantiana la rappresentazione di un principio oggettivo, in quanto costringe la volontà ad accettarlo. L'imperativo può essere ipotetico, se il comando si riferisce a ciò che è buono soltanto in vista di altro (e allora il principio è problematico se lo scopo è possibile ed è assertorio se lo scopo è reale); categorico, se il comando riguarda ciò che è buono in se stesso (dove il principio è sempre apodittico).

2) In grammatica, modo imperativo (o anche solo imperativo, come sm.), il modo del sistema verbale che esprime non solo un comando perentorio, ma anche un invito, un'esortazione, un consiglio, una preghiera. Può anche essere usato ironicamente con valore concessivo. L'imperativo ha solo la seconda persona singolare e plurale (fa', fate), per le altre persone si usa il congiuntivo esortativo (faccia!, facciamo!, facciano!). La forma negativa della seconda pers. sing. è espressa in italiano dalla negazione non seguita dall'infinito (non fare!), costrutto che si può già trovare nel latino tardo; nel latino classico invece si usa ne col perfetto congiuntivo, oppure forme perifrastiche come noli (nolite) e l'infinito, vide (videte) ne, fac (facite) ne, cave (cavete) per lo più senza ne e il presente congiuntivo. L'infinito italiano in funzione di un imperativo non negativo, di cui si possono trovare esempi in autori classici, è usato essenzialmente negli avvisi e nei cartelli pubblicitari: accendere i fari in galleria!, preparare il danaro contato!, tenere la destra!

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