equilìbrio ecològico
risultante delle relazioni reciproche instauratesi tra gli organismi viventi e tra questi e l'ambiente naturale. Questo equilibrio si trova continuamente sottoposto a oscillazioni e a variazioni di qualcuno dei propri componenti, alle quali rispondono reazioni e compensazioni degli altri fattori. In tal modo si verificano fluttuazioni entro limiti che consentono a un sistema biologico di permanere e di caratterizzarsi. Il mantenimento di questo equilibrio è la condizione principale per l'esistenza degli organismi viventi; spesso è sufficiente la variazione anche di uno solo dei fattori ambientali, oltre un dato limite, per provocare (qualora non venga compensata) gravi perturbazioni nel sistema (rottura dell'equilibrio), con possibile estinzione di più specie. Ogni organismo, infatti, raggiunge e mantiene un proprio equilibrio dinamico con l'ambiente, grazie a un particolare livello di specializzazione e alla possibilità di reagire attivamente a ogni variazione ambientale. Qualora sia stato raggiunto un grado estremo di specializzazione, l'organismo perde in gran parte la plasticità adattativa verso le mutate condizioni ambientali e decadrà rapidamente. Per tale ragione si sono estinte molte specie di animali tipici di habitat puntiformi (piccole isole, ecc.) che, avendo raggiunto caratteristiche evolutive particolari per il lungo isolamento (bassa prolificità, atterismo o semi-atterismo in alcuni uccelli, diete alimentari estremamente specializzate, condizioni di sopravvivenza legate esclusivamente a un tipo specifico di copertura vegetale o di clima, ecc.), non hanno saputo reagire alle improvvise variazioni dell'ambiente, quali: l'introduzione incontrollata di predatori, specialmente grossi mammiferi domestici, da parte dell'uomo; diboscamenti e distruzione del manto vegetale; caccia indiscriminata; competitività di altre specie introdotte a più ampio grado di adattamento; ecc. Numerosissimi sono gli esempi che si potrebbero citare. Quando in Giamaica, nel 1872, vennero introdotte le mangoste per distruggere i ratti che decimavano le coltivazioni di canna da zucchero, nel giro di un decennio, dopo avere grandemente ridotto di numero i ratti, esse si rivolsero verso la restante fauna dell'isola, distruggendo mammiferi, uccelli, rettili e diversi artropodi; i ratti sopravvissuti si adattarono velocemente a una vita arboricola, si moltiplicarono e ripresero a distruggere le coltivazioni, sfuggendo alle decimazioni delle mangoste sul terreno, mentre queste ultime, trovatesi a mal partito, cominciarono a declinare. L'introduzione di animali erbivori voraci, come le capre, ha provocato altrove la distruzione di intere vegetazioni insulari caratteristiche, mettendo letteralmente a nudo il suolo ed estinguendo di conseguenza la fauna indigena strettamente dipendente da tale tipo di flora. L'uomo si rivela così come il più attivo elemento di perturbazione di equilibri naturali, anche su vasta scala. In proposito si ricordano le conseguenze della lotta contro gli insetti dannosi alle colture agrarie. Si è calcolato che ca. il 99% degli insetti potenzialmente dannosi ai vegetali è controllato e tenuto a freno da altri artropodi, loro nemici naturali: con l'impiego su larghissima scala di antiparassitari chimici, l'uomo provoca la distruzione non solo degli insetti dannosi, ma anche di quelli utili (i parassiti e i predatori di specie nocive, gli impollinatori, ecc.) e di numerosi altri animali superiori con questi in equilibrio dinamico. In tal modo viene distrutto l'equilibrio naturale tra insetti predati e predatori (che si sarebbe potuto utilizzare con un oculato sistema di lotta biologica, favorendo cioè lo sviluppo e l'affermarsi dei nemici naturali) e si favorisce l'instaurarsi di nuovi equilibri non sempre utili all'uomo (per esempio la diffusione delle vipere e di parassiti resistenti agli insetticidi).