cortigiano

Lessico

(ant. cortegiano), agg. e sm. [sec. XIV; da corte].

1) Agg., proprio della corte e della vita che vi si conduce: eleganza cortigiana; lingua cortigiana. Per estensione, spregiativo, adulatorio, servile: spirito cortigiano.

2) Sm., chi vive a corte, chi fa parte della corte: il re con i suoi cortigiani. Per estensione, spregiativo, adulatore, parassita.

Letteratura: la controversia sulla lingua cortigiana

Nelle polemiche che si ebbero in Italia nel sec. XVI sull'origine e sul corretto uso della lingua, alcuni scrittori sostennero, sia pure da diversi punti di vista, la tesi di una lingua “illustre”, in contrapposizione a quanto asserivano i difensori della fiorentinità o toscanità, come il Bembo. In un'opera andata perduta, il Della volgar poesia, il Calmeta sosteneva appunto l'uso della lingua cortigiana e in particolare di quella parlata allora alla corte di Roma. E non è da trascurare il fatto che G. G. Trissino pubblicasse nel 1521 la traduzione del De vulgari eloquentia di Dante, in cui aveva creduto di trovare un autorevole sostegno alle sue idee linguistiche e che cioè la lingua letteraria non dovesse esser fiorentina, ma nazionale e comune. L'attributo di cortigiana, dato alla lingua, era da collegarsi al fatto che la produzione letteraria del tempo avveniva nell'ambito dei principati italiani, in quella vita di corte così ben illustrata ne Il Cortegiano (1528) di B. Castiglione.

Bibliografia

B. Croce, P. Valeriano e la controversia della lingua, in “Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento”, Bari, 1945; F. Neri, Note sulla letteratura cortigiana del Rinascimento, in Letteratura e leggende, Torino, 1951; G. Folena, Testi non toscani del Quattrocento, Modena, 1953; P. V. Mengaldo, Appunti su V. Calmeta e la teoria cortigiana, in “Rassegna della letteratura italiana”, LXIV, Firenze, 1960; M. Vitale, La questione della lingua, Palermo, 1960; B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, 1961.