Trìssino, Giangiórgio
letterato italiano (Vicenza 1478-Roma 1550). Studiò a Milano e andò poi a Roma, dove la protezione di Leone X, Clemente VII e Paolo III gli ottenne importanti missioni diplomatiche in Italia e in Germania. Fu sostenitore di un rigido e intransigente classicismo, tanto nel campo delle arti e dell'architettura quanto in quello letterario, con autorevoli interventi nelle controversie del tempo, soprattutto nella questione della lingua: nel dialogo Il castellano (1529), reagendo alle tesi della “toscanità” e della “fiorentinità”, propugnò la tesi di una lingua “italiana”, quale poteva risultare dall'apporto di scrittori di varie regioni, richiamandosi al dantesco De vulgari eloquentia, da lui tradotto. La teoria trissiniana, che suscitò l'aspra reazione dei letterati toscani, non ebbe fortuna. L'opera teorica più significativa di Trissino è l'Arte poetica, in cui il Trissino propugna una letteratura di stampo classico, rigidamente fondato sulla precettistica dei generi letterari. Lo stesso Trissino tentò di applicare le sue teorie in una serie di opere che, soffocate dal peso dell'erudizione e della retorica, hanno un valore più culturale che artistico: la Sofonisba (1524), prima tragedia “regolare” del Rinascimento che costituisce una tappa fondamentale per l'introduzione dell'endecasillabo sciolto; la raccolta di Rime volgari (1529), che occupano un posto di rilievo sul piano della sperimentazione metrica cinquecentesca; la commedia I simillimi (1548), d'imitazione plautina e aristofanesca, e infine il macchinoso e infelice poema epico L'Italia liberata dai Goti (1547-48).