coreògrafo

sm. [sec. XIX; da coreografia]. Compositore di coreografie. Il termine fu usato per la prima volta nel sec. XIX da C. Blasis e sostituì quelli in uso di compositore o inventore di balli, maestro di ballo, ecc. Un ruolo affine a quello del coreografo era già svolto nell'antica Grecia dal corodidascalo, cioè da colui che dirigeva le evoluzioni dei coreuti. Nel Quattrocento italiano fiorirono i “maestri da dançare”, operanti presso le corti sia insegnando la danza ai nobili cortigiani, sia componendo piccoli balli. Nobili dilettanti furono anche in massima parte gli autori del balletto di corte italiano e successivamente del ballet de cour (da Botta a Filippo d'Agliè, a Lulli). Il primo coreografo professionista è considerato Ch.-L. Beauchamps, che fu tra i fondatori (1661) e direttore dell'Académie Royale de Danse, codificatore delle “cinque posizioni” dei piedi e ideatore, contemporaneamente a R.-A. Feuillet, del primo sistema di notazione coreografica. Fino alla riforma di Noverre, il coreografo non godette di vera autonomia, essendo spesso legato alle esigenze dei teatri lirici che consideravano il balletto come parte dell'opera. Con Angiolini, Noverre e soprattutto con S. Viganò – e grazie all'appoggio di numerosi letterati dell'epoca, seppur nel più vasto ambito della polemica per il ballet d'action –, alla sua attività fu conferito un più effettivo e autonomo valore. Dopo una battuta d'arresto, in coincidenza con il primo affermarsi del fenomeno del divismo nato con le grandi ballerine dell'Ottocento, con Fokin e successivamente con il grande rinnovamento conseguenza della “rivoluzione” djagileviana, il coreografo si affrancò dagli obblighi e dalle imposizioni che ne limitavano l'azione e ne frenavano la fantasia creativa e aprì la strada alla coreografia moderna.

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