cìnghia

(ant. e toscano cigna), sf. [sec. XIII; latino cingŭla, da cingĕre].

1) Striscia di cuoio, pelle o di altro tessuto resistente, munita di fibbia o ganci, per reggere i pantaloni, stringere gli abiti alla vita, rinforzare la chiusura delle valigie, fissare la sella e il basto, ecc.; anche lista di cuoio o di tela agganciata a fucili e carabine per consentirne il trasporto in spalla e facilitarne l'imbracciatura nel tiro mirato, specialmente nelle posizioni a terra e in ginocchio. Loc.: tirare la cinghia, stringerla maggiormente per dimagrimento; fig., soffrire la fame per ristrettezze economiche.

2) Al pl., bretelle; dande per sostenere i bambini nei primi passi.

3) In meccanica, cinghia di trasmissione, striscia di cuoio, oppure di gomma (a sezione trapezoidale e provvista di “denti” che ingranano nelle tacche di un'idonea puleggia) o di tela usata nella trasmissione del moto rotatorio tra assi paralleli o sghembi. Le cinghie piane possono essere usate per rapporti di trasmissione modesti e velocità ridotte e si devono avvolgere su pulegge bombate che garantiscono il centraggio della cinghia stessa. Molto più usate sono le cinghie trapezoidali che, grazie alla maggiore aderenza, consentono un elevato rapporto di trasmissione, maggiore velocità, silenziosità e sicurezza; queste cinghie devono lavorare sui fianchi esercitando la loro azione contro le gole di adatte pulegge. Sulla puleggia di diametro inferiore la cinghia si deve avvolgere con un angolo superiore a 100º. I due rami delle cinghie sono sottoposti sempre a diversa tensione; la differenza tra la tensione del ramo teso e quella del ramo allentato è uguale allo sforzo tangenziale da trasmettere: per raggiungere la tensione voluta è possibile inserire un elemento rotante intermedio, folle sul suo asse (galoppino tenditore) che può essere disposto in modo da modificare il percorso della cinghia e indirettamente la sua tensione.