avvocatura

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Lessico

sf. [sec. XIX; da avvocato]. Professione di avvocato: esercita con successo l'avvocatura; anche il complesso degli avvocati di una località o addetti a una funzione specifica.

Gruppo di avvocati qualificati come impiegati pubblici che rappresentano e difendono lo Stato in giudizio. Si compone di un'avvocatura generale, che risiede a Roma e di avvocature distrettuali, che agiscono in circoscrizioni identiche a quelle delle Corti d'Appello. L'avvocatura generale, oltre ai suoi compiti specifici di direzione generale, agisce anche come avvocatura distrettuale per la circoscrizione di Roma. Compito dell'avvocatura dello Stato è la consulenza di cui necessitano le amministrazioni pubbliche per le materie strettamente giuridiche, per le transazioni, ecc. La sua attività non si estende alle preture e agli uffici di conciliazione. Il ricorso all'avvocatura dello Stato da parte dell'amministrazione statale è obbligatorio e ammette pochissime eccezioni per casi specialissimi. Possono avvalersi dell'opera dell'avvocatura dello Stato anche determinati enti pubblici (R.D. 8 giugno 1940, n. 779). § L'istituzione risale al periodo imperiale di Roma quando il patrimonio dello Stato (aerarium) fu separato da quello dell'imperatore (fiscus). Sorsero in tal modo gli advocati fisci (funzionari o liberi professionisti), che assolvevano alla difesa. In età giustinianea tale incarico divenne prerogativa dei decani dell'ordine degli avvocati. Nel Medioevo le loro attribuzioni si allargarono fino a impersonare l'autorità dello Stato rappresentato. Decaduta ormai da tempo, l'istituzione ricomparve nel 1777 a opera del granduca di Toscana Pietro Leopoldo, che nominò di motu proprio un “avvocato regio”.

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