autoradiografìa
sf. [auto-+radiografia]. Procedimento che consiste nella registrazione su lastra fotografica delle radiazioni emesse da elementi radioattivi naturalmente presenti oppure artificialmente incorporati sia in sostanze minerali sia in tessuti animali o vegetali. L'autoradiografia trova larga applicazione in vari settori della ricerca scientifica e della tecnica, soprattutto in mineralogia, medicina e radiobiologia. Dato che la struttura da fotografare contiene radionuclidi, vengono sfruttate le proprietà ionizzanti delle radiazioni da loro emesse per ridurre in argento metallico il bromuro d'argento dell'emulsione fotografica ottenendone l'impressione. Oltre a riprodurre caratteristiche della struttura interna di un oggetto, l'autoradiografia permette di localizzare le sostanze radioattive e di determinarne qualitativamente l'attività. In metallurgia, permette di studiare la struttura dei metalli attraverso la radiazione emessa dal campione in esame, reso radioattivo; è particolarmente impiegato nello studio dei fenomeni di diffusione e di autodiffusione. In biologia molecolare, l'autoradiografia è impiegata nello studio e nella localizzazione del DNA, usando come traccianti degli acidi che contengono isotopi radioattivi, soprattutto trizio, come per esempio la timidina. Negli anni Ottanta del sec. XX l'autoradiografia ha avuto un ulteriore sviluppo grazie alla scoperta di nuovi traccianti radioattivi, metodi di risoluzione delle immagini più sensibili e, soprattutto, lettori di immagini collegati ai computer che hanno permesso di ottenere misure quantitative molto precise della radioattività di un campione. É infatti stato possibile misurare il consumo di glucosio in molti tessuti, incluso il cervello, come un indice della loro attività metabolica, rivelando quindi stati patologici. In farmacologia, l'autoradiografia è impiegata per studiare il legame dei farmaci ai recettori attraverso i quali esplicano la loro azione.