astrazióne (filosofìa)
procedimento attraverso il quale la mente umana costruisce concetti universalmente validi mediante l'analisi di elementi particolari isolandoli dal contesto spazio-temporale. Già Platone nel De Repubblica poneva tra le funzioni della dialettica quella di distinguere un'idea dall'altra, in modo da poterne rendere conto a sé e agli altri (VII, XIV, 543). Aristotele riteneva che le forme intelligibili esistessero solo negli oggetti sensibili, come fonti dalle loro caratteristiche universali, e che l'anima potesse, mediante l'astrazione, farle emergere nella loro purezza in modo da realizzare attraverso questo procedimento la sua capacità di conoscerle (De anima, III, 7,8). Nel Medioevo San Tommaso vide nell'astrazione la facoltà di conoscere gli universali, che esistono come modelli delle cose (ante rem) nell'intelletto divino e sono presenti nelle cose stesse (in re), che li incorporano, ottenendoli come concetti universali astratti dalle cose stesse (post rem). La Scolastica distinse vari tipi di astrazione: l'astrazione negativa, per cui un oggetto è determinato in quanto non possiede una caratteristica, per esempio, “quest'albero non è rosso”; l'astrazione precisiva, per cui si considera una caratteristica dell'oggetto, ma si prescinde da altre, che pure possiede; l'astrazione formale, per cui si considera la forma che determina un particolare oggetto, come la durezza di un corpo duro; l'astrazione totale, per cui la caratteristica comune di molti oggetti viene considerata la loro essenza universale, per esempio l'umanità rispetto ai singoli uomini. Per contro, Locke considerò l'astrazione la facoltà, propria dell'intelletto, di separare gli attributi comuni a più oggetti da quelli propri a ciascun oggetto, che gli permette di giungere a una universalità che in sé non è altro che un prodotto dell'attività intellettuale (Saggio, III, 3,7). L'astrazione è in tale modo la stessa facoltà di apporre nomi generali a quei fenomeni che sono osservati con una certa frequenza in circostanze simili. Questa tesi può dirsi caratteristica dell'empirismo in genere. A una nuova concezione dell'astrazione si giunse con Hegel: l'astrazione, il pensiero astraente, non fu più da lui considerato come il puro accantonare ciò che vi è di sensibile nell'oggetto per cogliere l'intelligibile, secondo la concezione che si è vista propria della tradizione aristotelica, ma come la riduzione della materia, quale puro e semplice fenomeno, al concetto come sostanza. L'astratto stesso fu visto da Hegel come ciò che è separato dalla totalità e quindi è finito e limitato, destinato a un superamento nel processo in cui l'Idea diviene. Si assiste così in Hegel a una valutazione dell'astrazione che è positiva e negativa al tempo stesso.