arùspice
sm. [sec. XVI; dal latino haruspex-ícis]. Indovino dell'antica Roma che, pur essendo consultato per questioni di carattere pubblico sia dai magistrati sia dal Senato, non faceva parte di un sacerdozio ufficiale. Gli aruspici venivano considerati quasi come stranieri, precisamente etruschi, o almeno etrusca era considerata la loro arte. Ciò ha probabilmente origini storiche, tuttavia ha un suo senso nella fenomenologia della divinazione: non è il solo caso in cui gli indovini sono considerati stranieri nell'ambito del popolo presso il quale operano. La consultazione divinatoria, infatti, può essere intesa come un salto nel “nuovo”, nello “straniero”, quando la soluzione di una crisi non può essere raggiunta con le “vecchie” istituzioni “patrie”. A risolvere crisi di tal genere erano chiamati a Roma gli aruspici, ai quali si attribuiva “la grande virtù d'interpretare i prodigi e di mettervi riparo” (Cicerone): e un fatto “prodigioso” è appunto un fatto che mette in crisi le istituzioni esistenti.
Aruspice romano esamina le viscere di un toro in un rilievo di età traianea (Parigi, Louvre).
Parigi, Louvre