anarchismo
IndiceLessico
sm. [sec. XIX; da anarchia].
1) Tendenza all'anarchia.
2) Dottrina anarchica e modo di vita sociale teorizzato dagli anarchici.
Dottrine politiche
Ogni dottrina o movimento che si propone, attraverso mezzi e programmi diversi, un radicale abbattimento anche violento di ogni forma di Stato, una progressiva liberazione dell'individuo dai vincoli di sudditanza impostigli dalle istituzioni politiche, giuridiche ed economiche della società, così da creare un ordine spontaneo nascente dall'autonoma attività di ciascuno, libero da costrizioni esterne. La prima organica enunciazione dell'anarchismo si deve a William Godwin e risale alla fine del Settecento. Di esasperata esaltazione dell'individuo è l'opera di Max Stirner, che eleva l'egoismo a suprema affermazione di libertà e arriva a identificare il genere umano in una “unione di egoisti”, sottratti al vincolo di qualunque potere. La stessa prospettiva individualistica si ritroverà nel misticismo pacifista di Tolstoj, che vagheggia un ordine sociale dove gli uomini possano agire ubbidendo unicamente all'impulso d'“amore”, non soffocato dallo Stato e dalla Chiesa. Più legato alle tematiche dello sviluppo capitalistico e più incidente nella realtà politica attraverso propri movimenti organizzati è il filone dell'anarchismo che si rifà alla concezione mutualistica di Proudhon. L'individuo costituisce il punto di partenza e la meta ultima di ogni ricerca, ma la società rappresenta la matrice in cui ogni personalità riesce a trovare completa realizzazione. Di qui il sorgere di un nuovo assetto sociale, che valorizzi la tendenza associativa degli uomini, con lo sviluppo di organi di amministrazione sociale ed economica basati su contratti volontari che assicurino a ciascuno il frutto delle sue fatiche. Più accentuato è in Bakunin il motivo della solidarietà tra i lavoratori, che trova la sua massima espressione nel “comunismo anarchico” di Kropotkin, dove a ognuno è dato secondo i suoi bisogni indipendentemente dai singoli apporti produttivi. Con la Fratellanza Internazionale di Bakunin nel 1866 l'anarchismo si diede una struttura politica sovrannazionale che però si esaurì in tentativi organizzativi, tutti effimeri per la difficoltà di conciliare l'individualismo con le necessità disciplinari di un movimento costituito. L'anarchismo ha trovato maggiori adesioni nei Paesi arretrati, dove il programma di lotta immediata alle strutture esistenti ha spesso saputo suscitare un anelito di liberazione tra le masse oppresse. Si comprendono così le violenze anarchiche della fine del sec. XIX, come illusione di sovvertire l'ordine costituito con un atto rivoluzionario individuale. Vittime di questa “propaganda per mezzo del fatto” furono sovrani e capi di Stato, ma i risultati apparvero controproducenti, permettendo alle forze governative una repressione che ridusse la consistenza del movimento anarchico. Propagandato da Bakunin, l'anarchismo ebbe vasta diffusione in Italia dal primo decennio postunitario, quando cercò di contendere al mazzinianesimo il favore dei lavoratori, contestando la preminenza della lotta politica su quella sociale ed economica. Il fallimento delle insurrezioni anarchiche di Bologna (1874) e di Benevento (1877) e il successo in Europa dei partiti socialisti convinsero i capi del movimento operaio ad accantonare i metodi della rivoluzione spontanea immediata. L'anarchismo si ridusse così all'attività di piccoli nuclei raccolti attorno alle figure più rappresentative di Cipriani, Gori, Merlino, Malatesta. Dopo la prima guerra mondiale nacque l'Unione Anarchica Italiana, ispirata dal Malatesta. Soffocato dal fascismo, l'anarchismo si è riorganizzato con la Liberazione nella Federazione Anarchica Italiana (FAI), sottoposta però a tensioni scissionistiche sfociate nella frattura del 1965. Nel 1971 la FAI ha ritrovato una più stabile unità per la disponibilità degli iscritti ad accettare decisioni collegiali. Dal 1967-68 una diversa ripresa dei temi dell'anarchismo si è avuta in vari Paesi europei e d'oltreoceano, soprattutto con movimenti giovanili di protesta, che hanno contribuito al fenomeno della contestazione.
Pedagogia
Il termine viene usato in senso essenzialmente polemico e detrattivo per designare quelle teorizzazioni o esperienze educative che contestano con forza la disciplina e l'ordine imposti per via autoritaria e rivalutano, sebbene con accentuazioni e significati diversi, la spontaneità, la libertà e l'autonomo sviluppo dell'educando. È sostanzialmente con questa accezione, per esempio, che la critica pedagogica tradizionalista ha usato la locuzione “anarchismo pedagogico” per caratterizzare la scuola che il grande romanziere ed educatore russo Lev Tolstoj aprì nel 1859 nella sua tenuta di Jasnaja Poljana. In effetti la scuola tolstojana, più che su una mitizzazione della libera espansione delle potenzialità dell'animo infantile, si basava sull'“assoluta sfiducia verso la saccenteria autoritaria degli adulti” (Visalberghi). Questa precisazione chiarisce l'arbitrarietà dell'uso sbrigativo e del significato stesso del termine anarchismo applicato alla scuola di Jasnaja Poljana e, più in generale, a quelle teorie e prassi educative che pongono al centro del processo educativo il fanciullo con i suoi reali interessi e con le sue esigenze di libertà.
Bibliografia
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