analogìa (filosofia)
Indiceconoscenza indiretta di una cosa in base al suo rapporto con un'altra, stabilito tramite confronto. È usata quando ciò che si deve conoscere non è conosciuto in se stesso, ma presenta rapporti con un altro ente già conosciuto. Fra i due termini del rapporto, il conoscendo e il già conosciuto, devono sussistere quindi sia diversità sia somiglianza. L'analogia sta perciò a metà fra l'equivocità, che consente una conoscenza diretta e immediata, e l'univocità. Di conseguenza la conoscenza analogica non è mai esaustiva, ma piuttosto allusiva, perché il conosciuto non vi è colto in modo definitivo e stabile, ma provvisorio e precario. Così il principio tomistico dell'analogia entis afferma che, data l'assoluta alterità da una parte e la relativa somiglianza dall'altra di Dio rispetto all'uomo, nell'analogia è propriamente da ravvisarsi la forma di conoscenza che il secondo può avere del primo. In quanto principio gnoseologico garante da una parte della trascendenza del divino e della finitezza del creato, e tale da rendere possibile dall'altra un accesso del secondo al primo, l'analogia sembra dunque costituire il punto d'incontro, la possibile mediazione fra teologia negativa e positiva: come tale è ricorrente in tutta la tradizione mistico-esoterica. Kant definisce analogia dell'esperienza i tre principi la cui applicazione rende possibile all'uomo un'esperienza unitaria e oggettiva: A) in ogni mutamento dei fenomeni la sostanza permane e la sua quantità nella natura non aumenta né diminuisce; B) tutti i mutamenti avvengono secondo la legge di causa ed effetto; C) tutte le sostanze, in quanto possono essere percepite nello spazio come simultanee, sono tra loro in azione reciproca universale.
D. Emmet, The Nature of Metaphysical Thinking, Londra, 1945; R. McInnery, The Logic of Analogy, L'Aia, 1961; B. Mondin, The Principle of Analogy in Protestant and Catholic Theology, L'Aia, 1963; Autori Vari, Metafore dell'invisibile, Milano, 1980.