acclamazióne

Indice

Lessico

sf. [sec. XVII; dal latino acclamatío -ōnis]. Grido esultante di approvazione, di favore, di onore, ecc.: “Il pubblico... gli dimostra con fervide acclamazioni una moderata e non recente stima” (Marotta). In particolare, modo di elezione in cui un'assemblea deliberante decide per comune consenso senza ricorso al voto. § In archeologia sono dette acclamazioni amatorie le iscrizioni di numerosi vasi attici, in cui alla parola kalòs (bello) segue spesso il nome di un personaggio, talora noto storicamente (Alcibiade, Ipparco, Leagro) o la più generica dizione pàis (ragazzo). Secondo la più comune interpretazione tali iscrizioni, più che esaltare la bellezza della persona nominata, vogliono indicare la sua qualità di amasio.

Storia

A Roma l'acclamazione dei soldati conferiva ufficialmente al comandante vittorioso il titolo di imperator. L'acclamazione entrò poi nell'uso come invocazione alla divinità per il felice esito dell'avvenimento celebrato (elezione dell'imperatore, spettacoli, ecc.); come tale fu poi recepita nel cerimoniale bizantino (acclamazione all'imperatore), con significato sacro-magico. In molte religioni l'acclamazione è presente come approvazione dell'intervento divino e desiderio che esso continui, e derivò al mondo classico dall'Oriente specialmente egiziano. Nel cristianesimo era usata l'acclamazione nelle elezioni dei vescovi (con significato di approvazione o di disapprovazione), nei concili, nella consacrazione di re o imperatori e nella liturgia come glorificazione di Dio (Te Deum laudamus). Secondo le testimonianze dell'epigrafia paleocristiana numerose erano anche le acclamazioni di carattere privato, quale augurio di pace ai morti. Durante il Medioevo le acclamazioni acquistano un carattere di approvazione dei deliberata del sovrano presso le monarchie germaniche.

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