Uchida, Tomu
regista cinematografico giapponese (Okayama 1898-1970). Proveniente dalla recitazione, autore dal 1927 di una serie di film satirici dopo aver fatto l'assistente di K. Mizoguchi, contribuì magnificamente con lui, specie nella seconda metà degli anni Trenta, all'affermazione del realismo socialista, sviluppando la tendenza dello shōmin-geki, o dramma della gente comune, e partecipando con Marcia senza fine (1936), da un racconto del regista Y. Ozu sul bilancio di vita di un impiegato, al movimento jungunbaku, o della letteratura pura. I suoi maggiori risultati del periodo furono Il teatro della vita (1936) e La città nuda (1937), due forti denunce dell'urbanesimo e della società del danaro, e soprattutto La terra (1939, presentato lo stesso anno alla Mostra di Venezia), film controcorrente anche come stile di lavorazione, un'indagine neorealistica e senza paternalismi sui contadini, che impose il suo nome anche in Occidente. Autore nel 1933 di un'opera, L'appello dell'Asia, girata interamente in Manciuria, vi tornò nel 1942 restando poi, come insegnante di regia e consigliere tecnico del cinema cinese, nella Repubblica Popolare fino al 1953. Rimpatriato, diede nel Bar del crepuscolo (1955) un quadro del dopoguerra giapponese, ma coltivò prevalentemente lo jidai-geki, o film in costume (specie con un monumentale Miyamoto Musashi, 1961-65, in cinque parti), di cui la favola La volpe folle, presentata a Venezia nel 1962, col suo connubio stilistico tra il kabuki e l'Opera cinese, fu preziosa testimonianza.