Tassóni, Alessandro
poeta italiano (Modena 1565-1635). Di nobile famiglia, studiò a Bologna, a Pisa e a Ferrara. Nel 1597 si trasferì a Roma e due anni dopo ottenne l'incarico di segretario alla piccola corte del cardinale Ascanio Colonna, che accompagnò in Spagna. Nei primi mesi del 1604 preferì tuttavia abbandonare l'ufficio di cortigiano per dedicarsi alla più personale attività di scrittore. Appartengono a questo periodo i Dieci libri di pensieri diversi (1608), dei quali i primi quattro trattano di scienza, altri quattro genericamente di costume e di morale, il nono di Cose poetiche, istoriche e varie, mentre il decimo, aggiunto nel 1620, coglie un Paragone degl'ingegni antichi e moderni, anticipando in certo senso la querelle des anciens et des modernes. L'opera è indicativa della modernità culturale di Tassoni, del suo spirito eclettico e curioso degli aspetti più diversi del mondo, caratteri che si ritrovano anche nelle originali, seppure dilettantesche, Considerazioni sopra le Rime del Petrarca (1609-11), in cui Tassoni cerca di analizzare i motivi dell'ispirazione del poeta e di demolire il petrarchismo, ancora imperante, come moda, nell'Italia del suo tempo. Più che altro – e sarà questo gusto a caratterizzare l'opera di Tassoni – egli si propone di porsi criticamente contro ogni principio di autorità, si tratti dell'ipse dixitaristotelico o del classicismo o del petrarchismo, aspirando con questo atteggiamento polemico a nuove aperture poetiche o genericamente artistiche, ma anche politiche, evidenti nel suo antispagnolismo, dimostrato dalle due Filippiche contro gli Spagnuoli, pubblicate anonime e senza indicazione di anno e di luogo, probabilmente nel dicembre del 1614 o nel gennaio del 1615, e dalla Risposta al Soccino, discorso polemico, anch'esso anonimo (1617). La ragione dell'anonimato non è da imputarsi a un'eccessiva prudenza di Tassoni, ma alla necessità di sottrarsi a inevitabili rappresaglie. Nel 1618, Tassoni accettò l'incarico di “gentiluomo ordinario” del cardinale Maurizio di Savoia, figlio del duca Carlo Emanuele I, forse perché in quel momento i Savoia seguivano una politica antispagnola, ma dopo appena tre anni, accortosi del mutamento avvenuto nei nuovi signori e del loro ossequio al potere spagnolo, e soprattutto consapevole di essere stato messo da parte per ragioni politiche, Tassoni preferì tornare a Roma (1621). Il poeta espresse la propria delusione per il voltafaccia dei Savoia in un aspro “manifesto” scritto nel 1627 ma pubblicato solamente nel 1856. Da quel momento, Tassoni rinunciò alla vita mondana, a eccezione delle brevi parentesi, utilissime per la sua esperienza, del servizio presso il cardinale Ludovico Ludovisi e, come “gentiluomo di belle lettere”, alla corte di Francesco I di Modena. Infine si isolò, per comporre il bizzarro e polemico poema eroicomico prima in dieci, quindi in dodici canti, che sintetizza satiricamente il suo ideale politico e artistico, La secchia rapita, stampato a Parigi nel 1622 con lo pseudonimo di Androvinci Malisone, e poi riveduto, secondo le direttive della Sacra Congregazione dell'Indice, e ripubblicato a Roma nel 1624 con lo pseudonimo di Ronciglione. L'edizione definitiva apparve a Venezia nel 1630. Il motivo iniziale è fornito dalla tradizione leggendaria di una secchia di legno rapita dai Modenesi ai Bolognesi. Il resto è tratto da ambienti storici diversi usati dal poeta in tutta libertà e calati nell'ambiente municipale del tempo. Molti riferimenti al costume contemporaneo, a persone anche reali, sono mescolati con elementi fantasiosi in un anacronistico, mobilissimo quadro dove il serio e il tragico s'intrecciano col comico e il grottesco, in una dimensione già rivelatrice del nuovo gusto barocco.