Sigièri di Brabante
filosofo averroista (? ca. 1240-Orvieto ca. 1284). Dal 1264 al 1276, come chierico secolare, fu maestro alla facoltà delle arti di Parigi, dove ebbe molti seguaci e promosse, seguendo il modello di Averroè, un'esegesi letterale e imparziale dei testi di Aristotele, che metteva in luce anche affermazioni incompatibili con la dottrina cristiana. Sviluppando con coerenza l'aristotelismo, affermò l'eternità del mondo, la necessità degli eventi e l'unicità e separazione dell'intelletto rispetto ai singoli individui. Ci restano 14 suoi scritti (e alcuni altri attribuitigli): commenti ad Aristotele come le Questiones in tertium de anima, e opuscoli come De anima intellectiva: ma sono ancora in buona parte inediti. Da lui è venuto un significativo esempio di autonomia della ricerca filosofica rispetto alle verità rivelate. Le sue idee vennero discusse con impegno di confutazione da Tommaso d'Aquino nel De unitate intellectus contra averroistas, del 1269, e condannate ufficialmente dal vescovo di Parigi nel 1270 e dal tribunale ecclesiastico nel 1277. Fu dunque costretto a lasciare Parigi; si appellò al pontefice e rimase poi recluso presso la corte papale di Orvieto, dove morì pugnalato da un chierico inserviente. L'averroismo latino ebbe ancora seguito nei sec. XIV e XV, particolarmente a Padova e Parigi, mettendo in crisi ogni tentativo degli scolastici di conciliare la ragione con la fede.