Pilnjak, Boris
pseudonimo del narratore sovietico Boris Andreevič Vogau (Možajsk, Mosca, 1894-Siberia 1941). Nato in una famiglia di intellettuali, esordì giovanissimo sotto l'influsso di Remizov e acquistò notorietà con il romanzo L'anno nudo (1922), ove la Rivoluzione russa è interpretata in chiave slavofila e antideterministica e che gli procurò le prime critiche per il “populismo anarchico” di cui l'opera sembrava permeata. La posizione di Pilnjak ebbe ulteriori riflessi nei romanzi e racconti che seguirono: La terza capitale (1922); Le macchine e i lupi (1925), dove è espresso il tragico conflitto tra il nuovo, di cui sono simboli la macchina e la città, e il vecchio; e Storia della luna che non fu spenta (1927), in cui è criticata la rigida disciplina del partito. Abbandonate le idee slavofile, Pilnjak concentrò la sua attenzione sulla campagna russa, descritta con realismo in Mogano (1929) che, pubblicato all'estero, gli valse l'accusa di deviazionismo e l'espulsione dall'Unione degli scrittori proletari. Una parte di quest'opera fu da Pilnjak rielaborata nel romanzo Il Volga si getta nel Caspio (1930) con cui egli tentò una specie di autocritica rappresentando il contrasto tra le esigenze della costruzione socialista e le forze primordiali dell'anima russa. Accusato di atteggiamenti antistorici e antisociali, nel 1937 fu arrestato come spia dei Giapponesi e deportato in Siberia, dove, secondo dati ufficiali, fu giustiziato nel 1941. Nel 1964 fu pubblicata una parte del suo romanzo, rimasto incompiuto, Il granaio di sale. Successivamente si procedette, in Unione Sovietica, alla sua riabilitazione.