Campana, Dino

poeta italiano (Marradi 1885-Castel Pulci, Firenze, 1932). Interrotti gli studi di chimica, nel 1905 iniziò a scrivere versi e brevi prose liriche, come risulta dal Taccuinetto faentino (postumo, 1960), alla ricerca di nuovi modi espressivi. Nel 1907, dopo un anno trascorso nel manicomio di Imola, si diede a vagabondare per l'Italia settentrionale e la Svizzera, approdando infine a Parigi, dove nelle correnti d'avanguardia e nelle opere dei simbolisti (da Baudelaire a Rimbaud) identificò e riconobbe la propria ricerca. Dopo nuovi viaggi in Argentina, in Russia e in Belgio, dove fu rinchiuso in prigione e poi in manicomio, tornò in Italia nel 1910 e nel 1912 terminò i Canti orfici (la cui prima versione consegnata alla redazione di Lacerba venne smarrita; rinvenuta poi tra le carte di A. Soffici, fu pubblicata nel 1973 col titolo Il più lungo giorno), poesie e prose liriche in cui ha reso con modi nuovi le visioni-illuminazioni, le sensazioni, i frammenti di quella “conoscenza totale” che aveva inseguito e inseguirà poi per tutta la vita disperatamente. Nel 1914 pubblicò la nuova redazione dei Canti. Dello stesso anno è anche il Canto proletario italo-francese in cui, dimenticati i furori germanofili, si schierò tra gli interventisti. Nell'estate 1916 ebbe inizio la relazione amorosa – che terminò nell'inverno 1917 – con Sibilla Aleramo. Dei sentimenti diversi che la poetessa gli ispirò testimoniano le Lettere - Carteggio con Sibilla Aleramo (postume, 1958). Nel 1918 fu internato nel manicomio di Castel Pulci, dove morì.

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