Boye, Karin
scrittrice svedese (Göteborg 1900-Alingsås 1941). La tematica degli "opposti", come ad esempio sacrificio e volontà, imposizione di regole e spontaneità, dominano nella sua produzione, pervasa da una sensibilità inquieta. Mostrò inizialmente una particolare attrazione per i temi religiosi, poi per il socialismo e in seguito per la psicoanalisi, che considerò il mezzo più efficace per la liberazione dell'individuo da un sistema di valori morali repressivi. Negli anni Venti la sua produzione fu soltanto poetica e anche in seguito le raccolte di liriche furono più numerose rispetto alle opere in prosa. Tra le raccolte di poesie spiccano Nuvole (1922), I focolari (1927), Per l'albero (1935) e I sette peccati mortali (postuma, 1941). Ma è con la produzione in prosa che la Boye manifestò in modo più compiuto il suo talento letterario. Nel romanzo autobiografico Crisi (1934), rappresentò i suoi dubbi rispetto alla fede cristiana, abbracciata nel 1918 dopo un breve periodo giovanile di adesione alla religione buddhista: la morale del sacrificio e della rinuncia, propri del cristianesimo, apparivano estranei alla sua filosofia di vita, più vicina ad un'interpretazione del sentimento religioso in senso volontaristico e nietzschiano. Nel 1940 la Boye pubblicò la sua opera migliore, il romanzo Kallocaina (1940), inquietante metafora sulle dittature politiche che riecheggia il filone di distopie del sec. XX contenute in 1984 di G. Orwell, in Noi di E. Zamjatin e ne Il mondo nuovo di A. Huxley: protagonista del romanzo è un siero della verità somministrato da uno stato poliziesco per garantire sicurezza, omogeneità tra classi e stabilità, ma che si rivela invece la causa principale della disgregazione sociale, mettendo a nudo l'intima essenza individualistica e anarchica dell'uomo.