Ardigò, Robèrto
filosofo e pedagogista italiano (Casteldidone 1828-Mantova 1920). Fu uno tra i più notevoli filosofi italiani dell'ultimo quarto del sec. XIX. Sacerdote, dopo lunga crisi lasciò la veste talare (1871) ritenendola oramai incompatibile con le convinzioni antimetafisiche che era andato maturando ed esprimendo nel discorso su Pomponazzi (1869) e nella Psicologia come scienza positiva (1870). Con La formazione naturale nel fatto del sistema solare (1877), Il vero (1891), La ragione (1894), L'unità della coscienza (1898) elaborò una forma originale di positivismo, caratterizzato da: una concezione della filosofia come peratologia, cioè scienza che va oltre le scienze particolari, di cui pur costituisce la sintesi; una critica del concetto di inconoscibile come assoluto e incondizionato, proposto da H. Spencer, cui Ardigò oppone un concetto di inconoscibile equivalente al semplice ignoto (cioè “non ancora” noto); una definizione dell'evoluzione in termini psichici (perciò come passaggio dall'indistinto al distinto) anziché nei termini biologici propri di Spencer; una dottrina del “caso”, con la quale attenuava il determinismo rigoroso tipico del positivismo; una dottrina morale (La morale dei positivisti, 1889), che vede l'origine dei doveri e delle idealità morali non in un valore ma in un principio psicologico: l'interiorizzazione delle norme sociali. Anche sul piano pedagogico (La scienza dell'educazione) Ardigò applica il procedimento evolutivo nei termini di indistinto e distinto, ma considera che esso debba essere corretto con l'impiego di “anticipazioni” che sono in realtà “i simboli riassuntivi della sapienza dell'umanità passata”; l'individuo è così in grado di servirsi dei risultati dell'attività culturale delle generazioni precedenti. Per Ardigò l'educazione è una somma di abitudini acquisite per mezzo dell'esercizio che deve essere opportunamente stimolato: in questa programmatica e scientifica stimolazione è l'essenza del fatto educativo.