Come si mangiava nelle case degli antichi nobili Romani?
Nel libro De re coquinaria del cuoco letterato Marco Gavio Apicio, troviamo una delle poche corpose testimonianze scritte della antica cucina romana.
Nell’era imperiale le famiglie patrizie e i nobili romani furono senza dubbio dei privilegiati della tavola.
Nello ientaculum, il rapido pasto mattiniero, si apriva la giornata con pane condito con il vino e sale di Trapani, ma anche con il latte, le olive, l’uva secca, o il classico pane e miele.
Intorno a mezzogiorno, durante il prandium, uno spuntino fatto durante la pausa dal lavoro, si prediligevano cibi semplici, caldi o freddi, come pesce, verdure, legumi, uova e frutta.
La cena, che iniziava nel tardo pomeriggio poteva durare fino a notte tarda: qui riuniti in conviviali sale da pranzo, i triclini, i ricchi organizzavano costosi banchetti luculliani che potevano raggiungere le 50 portate; qui distesi nei triclinari, grandi sgabelli antenati degli odierni divani, i Romani si stendevano su di un fianco, con il braccio destro libero di prelevare le vivande che la servitù scaricava sui tavolini dentro grandi vassoi a comparti (ferculum).
Ossa, lische, conchiglie, chele, noccioli di frutta e tutti gli avanzi scartati della cena venivano gettati a terra. Veniva servita carne domestica, di maiale, pecora, agnello, ma anche di pollame, oche, spiedini, salumi e salsicce e ogni tipo di selvaggina, come lepri, uccelletti, fagiani, faraone, pavoni, struzzi, fenicotteri, pappagalli, ghiri, che allora abbondavano in natura ed erano uno sfizioso modo per meravigliare gli invitati. Con la triturazione e lo sminuzzamento in poltiglia degli alimenti si preparavano polpette, involtini, galantine, salamelle, ecc.
Nello stile alimentare di un’antica forma di dieta mediterranea si consumavano già cereali, ortaggi e molto pesce: il persico, le triglie e le murene allevate in apposite vasche, sgombri, storioni, mitili, crostacei, sfiziosi involtini di medusa con ricci. Abbondavano le verdure come cavoli, porri, insalata, cipolle, finocchi, aglio, lattuga, piselli e molti altri; cereali e legumi venivano consumati in abbondanza, specialmente farro, orzo, fagioli, lenticchie, lupini, ceci e fave. Il formaggio si mangiava fresco e acido, ma anche agliato. Fra le salse che accompagnavano i cibi c'erano il defrito, un condimento a base di mosto cotto, il liquamen filtrato liquido dal garo, un’altra salsa di interiora di pesce fermentato che richiedeva una preparazione di giorni, lo sciroppo di fichi, delizioso modo per condire le polpette come quelle di pavone.
I profumi a tavola si arricchivano di spezie esotiche, scambiate o prelevate nei territori di conquista; tra queste ricordiamo il cumino, il pepe, il coriandolo, il siliphium, una droga preziosa tuttora a noi sconosciuta, e di erbe aromatiche come origano, piretro, santoreggia, ligustico, mirto, menta e ruta.
I Romani amavano cibi bolliti e budini, come la puls, una pappa semiliquida a base di farro, frumento e altri cereali. Si faceva grande uso di olio di oliva e si sorseggiavano vini corposi all’occasione miscelati all'acqua, o il mosto fermentato e dolcificato con miele, denominato mulso.
Tra le centinaia di vini in commercio, spiccavano il Caecubum, il Massicum, il Sorrentinum, il Tiburtinum, il Falernum, di origine soprattutto campana. Anche il vino di rose e quello di viole erano diffusi.
Il dessert era costituito da pasticcini fatti in casa come il luncunculus, una sorta di bignè, il libum, un pane dolcissimo edulcorato con miele, il globus, bombolone fritto, ma anche datteri farciti e paste di semolino dolce.