shari‘ah
sf. arabo (da sharaʽa, iniziare, legiferare). Nell'islamismo, il corretto comportamento e le norme che lo regolano: è la “legge” islamica; ma è una legge che non deriva da organi legislativi, bensì direttamente da Dio, e pertanto va intesa come una legge “cosmica” più che “sociale” o “politica”. I fondamenti si ritrovano nel Corano (come formulazione diretta di Dio) e nel comportamento esemplare del Profeta (formulazione indiretta per analogia). L'esigenza di una shari‘ah che orientasse il corpo islamico nacque con la rinuncia all'orientamento tradizionale fornito dalle norme tribali, in vista dell'edificazione dell'Islam che è al tempo stesso religione e comunità, donde la professione di fede comporta automaticamente una specifica vita di relazione. Ciò premesso, si comprende come la cultura islamica ignori istituti corrispondenti alle nostre assemblee legislative e abbia prodotto, al loro posto, una specie di “teologia giuridica” (il fiqh) mediante la quale si formulano le norme richieste dalle diverse occasioni. La formulazione è intesa come un'interpretazione e non come una creazione; ovvero è intesa come un adattamento contingente alla “legge” eterna. Per questo motivo il fiqh non ha mai prodotto un'organizzazione sistematica o una codificazione della shari‘ah; il sistema o codice non sarebbe definibile da mente umana, in quanto è tutto contenuto nella mente ordinatrice di Dio. Tutt'al più si è proceduto talvolta a una classificazione della materia della shari‘ah: per esempio i Sunniti distinguono tra ʽibadat (norme di culto), muʽamalat (codice civile) e ʽuqubat (codice penale); ma nessuna classificazione è mai diventata generale per l'intero corpo islamico.