rivoluzione zafferano
Termine che indica le manifestazioni anti-governative che hanno scosso la Birmania (Myanmar) a partire dal 18 settembre 2007. Richiama le rivoluzioni colorate di alcuni Paesi dell’area ex-sovietica con le quali condivide il carattere essenzialmente pacifico e non violento. Le proteste furono guidate dai monaci buddisti e da membri dell’opposizione che chiedevano al regime dittatoriale al potere aperture democratiche e rispetto dei diritti umani. Causa scatenante fu l’improvviso aumento del costo dei generi alimentari e della benzina dovuto all’interruzione dei sussidi governativi. Le proteste furono duramente represse dal regime, ma ottennero il sostegno unanime della stampa e della politica occidentale coinvolgendo l’opinione pubblica in sit-in di protesta in molte città del mondo contro il regime birmano. Particolarmente rilevante da questo punto di vista fu il sostegno degli USA, che sin dal 1996 misero in atto un programma volto a promuovere democrazia e diritti umani sostenendo le opposizioni e favorendo la formazione di giovani giornalisti indipendenti. Sebbene le proteste non avessero avuto effetti immediati, il regime birmano a partire dal 2010, anche in forza delle pressioni internazionali, si è visto costretto ad aprire a concessioni democratiche scarcerando numerosi oppositori politici (tra cui Aung San Suu Kyi, nobel per la pace nel 1991 e leader della Lega Nazionale per la democrazia) e concedendo libere elezioni nel 2012. Essenziale risultò il contributo dei monaci buddisti, poiché il 90% dei birmani pratica il buddismo therevada: in un Paese di circa 55 milioni di abitanti sono circa 600.000 i religiosi critici verso il regime. Nel 1990 infatti, come forma di protesta, i monaci smisero di accettare le elemosine dei militari: era un gesto di grande portata poiché fare elemosina ai monaci è una tradizione buddista e un modo per acquistarsi merito (kutho) contribuendo alla propria felicità futura.